Kurt Cobain, Unplugged 1993. La rivolta intimista dell’acustico

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Kurt Cobain, Unplugged 1993. La rivolta intimista dell’acustico

Anime sul palco – Capitolo III. Trilogia sulle performance live di artisti che donano l’anima a chi li ascolta, rapendo a loro volta l’anima del proprio pubblico. Una poetica dell’interiorità esibita sottovoce ad occhi chiusi su di un palco rock che rifiuta la strumentalizzazione mediatica della musica.

Anime sul palco – Capitolo II: Sinéad O’cconor. Cantatrice calva di Ionesco, Van Gogh del post punk

Anime sul palco – Capitolo I: Stevie Nicks. La catarsi sul palco della strega bianca del rock

«Ma tutto quel che voglio, dicevo, | è solamente amore | ed unità per noi | e meritiamo un’altra vita | violenta e tenera se vuoi | nata sotto il segno | nata sotto il segno dei Pesci».
Se non fossero parole di Antonello Venditti scritte svariati anni prima della nascita dei Nirvana, potremmo pensarle riferite a Kurt Cobain.

Kurt Cobain, Unplugged 1993: confessore e confessato della Generazione X

Nato, per l’appunto, sotto il segno dei Pesci, duale, complesso, perso nel proprio spasmodico bisogno di trascendenza e totalmente incapace di gestire i limiti dei propri sentimenti e dei propri dolori, Kurt Cobain è del segno l’esemplare per eccellenza.
Empatico quintessenziale, assorbe tutto ciò che è intorno a lui – dalle prime deprimenti esperienze nei sobborghi operai di Aberdeen (Washington), fino all’ammirazione cieca e fanatica dei fan – lo interiorizza fin troppo cercando di individuarvi un’interezza, una completezza inesistente e che finisce col lasciarlo esausto e frustrato sia verso un pubblico che lo adora come un idolo senza capirne le profondità, ma anche nei confronti di se stesso, frammentato da traumi e ferite interiori oltre il limite della possibilità di ricongiungimento in un unicum.

Le parole di Kurt Cobain non mirano a rivelare una verità da lui raggiunta nella sua ricerca emotiva, e sebbene gli sia stato spesso attribuito il ruolo di profeta della Generazione X, di vero e proprio predicatore grunge e portavoce del vuoto esistenziale di un’intera generazione, ne è piuttosto confessore e confessato: dopo avere esperito i traumi generazionali e la perdita di significato dell’edonismo della decade precedente, dopo aver ascoltato i peccati del mondo intorno a lui, li ha assorbiti ed accettati in tutte le loro contraddizioni, senza trarne alcuna conclusione che non fosse strettamente personale.

Kurt Cobain bianco e nero generazione x

Kurt Cobain, Unplugged 1993.

È questo melting pot di sensazioni che l’artista ha cercato di trasmettere, o meglio di confessare, incompreso, ad un uditorio in cerca di un messia nichilista che finisce con l’annientare la densità del vero messaggio che Kurt Cobain offre loro, ossia la sua stessa individualità.

Tuttavia, Kurt Cobain sacrifica il proprio benessere mentale facendosi musicalmente carico dei problemi altrui, incapace di porre dei limiti a se stesso come agli altri, e finendo col non riuscire a preservare la propria sanità, pur provandoci a volte grottescamente.

Al contrario dei Gemelli di Stevie Nicks, sempre pronta a mettere istrionicamente sul palco la maschera più adatta ad ammaliare il proprio pubblico, i Pesci di Kurt Cobain proiettano all’esterno una facciata che ha il solo scopo di proteggere il fragile interno ottenendo a tratti l’effetto opposto, come al termine della performance di In Utero Tour del 13 dicembre 1993 a Seattle: in essa Kurt Cobain si beffa del pubblico, applaudendo alla platea con aria volutamente ebete, in un gesto che vuol dire «Applaudite, Applaudite, manica di idolatranti decerebrati», ma che in realtà tradisce la delusione di un’artista che non riesce a farsi comprendere davvero, non diversamente da Sinéad O’Connor (che Cobain doveva capirlo particolarmente bene al momento della registrazione della sua delicatissima versione di All Apologies).

Kurt Cobain e i Nirvana, Unplugged 1993.

Quello dei Pesci non è un mondo fatto di parole: Mercurio è in esilio nel segno e così le parole di Kurt Cobain si rendono inefficaci per la comunicazione, cercano di trasmettere ogni volta un messaggio che dovrebbe essere chiaro e coerente, ma non lo risulta mai, almeno in superficie.

«I know you’re always telling me | that you love me | but just sometimes I wonder | if I should believe | I love you | God I love you | I’d kill a dragon for you», parole di un Sagittario come Sinéad, portatore di verità, sono indiscutibilmente più chiare e comunicativamente più efficaci di un «She eyes me like a Pisces when I am weak | I’ve been locked inside your heart-shaped box for weeks | I’ve been drawn into your magnet tar pit trap | I wish I could eat your cancer when you turn black»1, pure dal significato analogo.

Ma le parole dei Pesci, animali muti, sono fluide, non costrette da vincoli sintattici e semantici: segno d’acqua mutevole, i Pesci non conoscono struttura, e così le parole di Kurt Cobain si affastellano tra le note, si ammassano confuse nei suoi appunti, respirano nelle pagine dei suoi diari, sono disordinate, scompigliate, a volte smarrite e ritrovate, a tratti accompagnate da scarabocchi o fumetti perché forme d’arte più immediate ed espressive al pari della musica.

Immagini dal Diario di Kurt Cobain (edizione italiana Mondadori)
Immagini dal Diario di Kurt Cobain (edizione italiana Mondadori)

Questa affluenza d’informazioni, provenienti dall’esterno, unita ad una falla nella comunicazione verso l’esterno, non può che provocare un rapporto conflittuale con l’ascoltatore, che può leggere nel codice di Cobain letteralmente qualsiasi cosa: e se questo è vero, in una certa misura, per ogni testo d’artista, è vero anche che il simbolismo, il nonsense ed il surrealismo si prestano molto più facilmente a questo tipo di gioco.

Kurt Cobain e Nirvana, 18 Novembre 1993. La storia del celebre MTV Unplugged

L’incomprensione si traduce in risentimento e tensione, e se questi sono sentimenti ben mascherati dietro ad amplificatori, batterie sfondate e angst, peggio si accordano con un’esibizione acustica.

È il 18 novembre del 1993, e i Nirvana stanno per salire su un palco per loro insolito, fatto non di scenografie con manichini dalle ali d’angelo e le interiora a vista, non di casse e grancasse pronte ad essere distrutte dal lancio di un basso, ma di chitarre acustiche, amplificatori praticamente di contrabbando, gigli stargazer e candele nere accese.

Forti in quel momento della freschissima uscita di un nuovo album, In Utero, che essi stessi avevano volutamente quanto inutilmente cercato di sabotare perché disgustati dal successo commerciale di Nevermind2, ai Nirvana MTV aveva chiesto di partecipare alla trasmissione Unplugged, all’epoca al proprio quarto anno di vita, con un live acustico ovviamente dei loro pezzi di punta, badando bene di includere Smells Like Teen Spirit, Lithium e Heart-Shaped Box, lasciando perdere, per carità, quell’incubo di Rape Me, già cruccio dell’emittente televisiva dal 1992, quando la band ne minacciò l’attacco nella performance ai Video Music Awards, nonostante il divieto imposto loro3.

Nirvana in Utero Cover Album

Dave Grohl sostiene tuttavia che l’idea sia terribile, che non sia possibile suonare pezzi che sono stati pensati per l’elettrico come se fossero acustici4, un problema specialmente per lui, notoriamente potente alla batteria.

Kurt Cobain e i Nirvana, Unplugged 1993.

Decidono quindi deliberatamente di ignorare le hit e concentrarsi sui loro pezzi meno conosciuti, ottenendo così una scaletta composta da quattordici canzoni, di cui solo una hit, Come As You Are, e sei cover; per tre di queste cover invitano sul palco la band che le ha composte, i Meat Puppets, pressoché sconosciuta al grande pubblico, con grande disappunto di MTV che alla richiesta dei Nirvana di portare un gruppo come ospite si aspettava di vedere arrivare i Pearl Jam. Aggiungono alla line-up Pat Smear, da un paio di mesi secondo chitarrista dei Nirvana, e la violoncellista Lori Golstone, anche lei da poco ospite nel tour di In Utero.

Dopo due giorni di prove, i produttori di MTV iniziano a chiedersi se sia stata una buona idea ospitare i Nirvana ad Unplugged; le prove sono terribilmente lasche, la band senza convinzione esercita due volte un pezzo per poi passare ad altro, il frontman è distrutto dall’insonnia, il batterista non riesce a suonare abbastanza piano, il bassista c’è rimasto male perché non gli hanno lasciato attaccare degli sticker sul basso acustico prestato e vuole anche suonare la fisarmonica; in più non c’è praticamente nessuna canzone celebre da poter commercializzare: sembra la ricetta per un disastro.

Kurt Cobain e i Nirvana, Unplugged 1993.

Il giorno del live, quando tutto sembra già un flop, uno dei tecnici del suono fa quasi venire un attacco di cuore al produttore esecutivo, Alex Coletti, portando un amplificatore elettrico sul palco: la chitarra che Cobain vuole suonare, una Martin D-18E del 1959, è un modello ibrido subito dismesso dalla casa produttrice, una chitarra acustica con i pick-up elettrici, che Kurt Cobain vorrebbe attaccare ad un amplificatore e a dei pedali perché non si sente sicuro senza i riverberi ai quali è abituato, temendo che la performance ne risenta.

Dopo qualche contrattazione, si decide di camuffare l’amplificatore da monitor, per poterlo lasciare sul palco5.

Autoritratto di Kurt Cobain schizzato nel 1992 su di un foglio volante (ed andato in asta nel maggio 2021)

Kurt Cobain e i Nirvana, Unplugged 1993.

La sera della performance, i Nirvana salgono sul palco insolitamente nervosi; non solo le prove non sono andate come volevano e non sono abituati a suonare “unplugged”, ma hanno deciso di portare pezzi che il pubblico non conosce, e che non sanno se apprezzeranno: per la band che ha scalzato Michael Jackson dalle classifiche l’anno precedente, è quasi come salire sul palco per la prima volta.

La prima canzone, About a Girl, viene introdotta da Kurt Cobain come «un pezzo del primo album, non ce l’hanno in molti», commento al contempo umile, ma anche sarcastico nei confronti di tutti i fan che avevano acquistato i loro dischi solo a partire da Nevermind.

Nirvana Unplugged MTV 1993 New York

Da lì, è tutto in discesa. Dave Grohl, solitamente riconoscibile per uno stile aggressivo alla batteria, una volta fornito di un paio di spazzole invece delle tradizionali bacchette, suona come un ragazzino che prova in casa e non vuole svegliare i genitori6; il gigantesco Krist Novoselic è pronto a suonare con il suo altrettanto gigantesco basso acustico prestato (senza sticker); Pat Smear sorride allegro come sempre e Kurt Cobain si è rilassato sulla sua sedia da ufficio che ha voluto sostituire prima del live allo sgabello che gli era stato assegnato: canta tutto il primo pezzo praticamente ad occhi chiusi, guardando il pubblico solo al giungere degli applausi, sorridendo con una smorfia imbarazzata.

È significativo che, per quello che sarebbe diventato il loro live più celebre, i Nirvana abbiano scelto canzoni minori del proprio repertorio, o addirittura cover di altri talentuosi artisti: da un lato la necessità tecnica, già ricordata, di suonare brani adatti all’acustico, dall’altra il desiderio di provare ad esternare sensazioni che i fan hanno precedentemente trascurato, sbattendogliele in faccia in modo che non possano essere ignorate, in un live così intimo da risultare uno spazio intermedio tra una funzione religiosa ed una seduta psicoterapica.

Significative sono anche le (non) interazioni con il pubblico presente in sala; prima dell’esibizione Cobain aveva esplicitamente chiesto che in prima fila ci fossero solo volti a lui noti, in modo da poterlo calmare nel caso in cui si fosse agitato, ma per la maggior parte del live finisce con il fissare lo sguardo nel vuoto, o fa battute con Krist, Dave e Pat parlando del pubblico come di «these people», ergendo tra sé e loro un muro di indifferenza che è in realtà timidezza e profonda paura di essere, ancora una volta, non compreso, addirittura garantendo «I will screw this song up» subito prima della cover di The man who sold the world di Bowie.

Kurt Cobain e i Nirvana, Unplugged 1993.

MTV Unplugged in New York è tuttavia, forse, l’ultimo (quando non l’unico) momento di connessione di Kurt Cobain con il pubblico: messo a nudo, con la sua musica e le sue parole eccezionalmente svestite dai soliti artifizi grunge, schiette, crude e oneste, gli ascoltatori possono concentrarsi non solo su ciò che Kurt Cobain dice, ma soprattutto sulla veracità della performance, e per i più attenti, sulla testimonianza del contrasto interiore di un Pesci irrimediabilmente sfinito dai legami che lo tengono ancorato a terra, e che non desidera altro che di galleggiare nella trascendenza della propria poesia, anche fino alla perdita del sé, percepibile per un secondo nel penetrantissimo sguardo, quasi impaurito, sulle note finali dell’ultimo brano Where did you sleep last night?

NOTE DELL’AUTORE:

1 Sebbene il testo ufficiale riporti il termine cancer con l’iniziale minuscola, il gioco di parole con Cancer, segno zodiacale di Courtney Love cui la canzone è polemicamente dedicata, appare discretamente evidente e merita quantomeno una segnalazione.

2 Nelle parole del giornalista di Time, Christopher John Farley, «nonostante le paure di alcuni fan, i Nirvana non erano andati verso il mainstream, ma In Utero avrebbe di nuovo costretto il mainstream ad andare verso i Nirvana», diventando cinque volte disco di platino (cfr. C. J. Farley, To the End of Grunge, in Time, Sept. 20 1993; https://web.archive.org/web/20110424063121/http://www.time.com/time/magazine/article/0%2C9171%2C979260%2C00.html).

3 Vd. https://www.youtube.com/watch?v=WUw.

4 Vd. https://www.avclub.com/dave-grohl-1798209638.

5 Vd. https://www.theringer.com/music/2018/11/14/18087878/nirvana-unplugged-oral-history-kurt-cobain.

6 Vd. Vorrei prendermi il merito di questa deliziosa descrizione, ma appartiene ad un ignoto utente di Youtube.

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