Sydney Carton è l’ultimo dei romantici in un mondo che non sente suo. Epidemie, follia e voci che strillano e giudicano solo perché non hanno altri argomenti per farsi sentire, in un tempo così simile al nostro.
C’era una volta una storia tra due città; una storia che c’é ancora.
Ti guardi allo specchio ogni giorno. Sempre la stessa espressione, gli stessi occhi, la stessa bocca, lo stesso naso.
Ci sono giorni in cui la tua pelle è quella giusta. E poi ci sono quei giorni, quelli in cui lo specchio racconta una storia che non vorresti leggere.
Allora tiri su la maschera e dai comunque il via allo spettacolo.
Sono quelli i giorni che possono essere i peggiori e diventare i migliori in un attimo, mostrandoti una storia di cui solo tu puoi scrivere il finale.
Una storia tra due città. Il celebre incipit
Una storia che nasce in giorni come i nostri.
«Erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori, era un’epoca di saggezza, era un’epoca di follia, era tempo di fede, era tempo di incredulità, era una stagione di luce, era una stagione buia, era la primavera della speranza, era l’inverno della disperazione, ogni futuro era di fronte a noi, e futuro non avevamo, diretti verso il paradiso, eravamo incamminati nella direzione opposta. A farla breve, era quello un tempo così simile al nostro che alcune fra le voci più autorevoli, quelle che più strillavano, insistevano a giudicarlo, nel bene e nel male, solamente per superlativi».
È questa la famosa ouverture di Una storia tra due città, il romanzo storico di Charles Dickens che chiarisce sin da subito l’intento poetico: creare un ponte tra presente, il suo ma che potrebbe rappresentare anche il nostro, e passato, quello della Rivoluzione francese; tra due mondi, quello dell’aristocrazia e quello della borghesia, e tra due storie differenti.
Ambientazione: un luogo che potrebbe essere il tuo
Questa storia si divide tra Parigi e Londra, e inizia con il ritorno in Inghilterra di un uomo, il dottor Manette, ingiustamente imprigionato nella Bastiglia per 18 anni e, ad attenderlo al di là della Manica, c’è la sua dolce e unica figlia Lucie.

Una storia tra due città: la trama e i personaggi
Tutte le storie poi, sono fatte di persone
Ed è qui che Dickens tesse la vera storia perché, cinque anni più tardi, in un’aula di tribunale si parla ancora di quella storia iniziata in una fredda e piovosa notte di novembre del 1775, su un tratto di strada che congiunge Londra e Saint-Antoine. La storia della famiglia Manette, quel giorno, si lega a quella di un gentiluomo francese, Charles Darnay, accusato di alto tradimento, e a quella del suo avvocato difensore, Sydney Carton, la cui somiglianza con Darnay è impressionante.
E non solo, perché nelle storie ci sono gli echi del passato
E mentre il tempo scorre inesorabilmente intrecciando i destini e il futuro di Lucie, Darnay e Carton, in Francia il vento di rivolta soffia sempre più forte, spinto dalle voci del popolo e della sanguinaria Madame Defarge, fino al drammatico epilogo alle soglie della Rivoluzione francese. Una Rivoluzione che odora di malattia, febbre e delirio di autodistruzione. Un contagio che si diffonde spaventosamente dalle prigioni, dove l’umanità è soggetta a terribili epidemie e che porta a un contagio fulmineo nella società.
Dickens offre un giudizio ironico sull’ancien régime grazie alle parole dei protagonisti, schiacciati dal peso della sofferenza di una storia che non può essere cambiata e di cui riescono a sentirne solo gli echi.
Il resto puoi leggerlo da solo: “Una storia tra due città” è un romanzo che va via proprio bene.

La storia vera inizia qui: Destino e Morte e le allegorie di Dickens
Sì perché la storia è avvolta dalla nebbia e ricoperta di allegorie, di giochi di dualismi, simmetrie e opposizioni che si estendono lungo tutto il romanzo. Ci sono figure, come Destino e Morte, che lavorano incessantemente per trasmettere la voce e il pensiero di Dickens e tirano i fili della vita dei protagonisti che si muovono lungo la linea del tempo e in tutti i luoghi. Sono loro che annunciano con nubi oscure gli echi della Rivoluzione; sono loro che irrompono nella vita privata dei protagonisti promettendo tempi di sofferenza e di infelicità. Il richiamo delle loro voci è onnipresente. Basta saperlo cercare.
Una storia tra due città è una storia fatta di classi
In “Una storia tra due città”, Dickens dipinge un quadro. Sono visibili diversi luoghi con personaggi particolari e ben definiti. Per esempio, sembra di sentire le voci animate dagli abitanti di Soho che si affaccendano nella vita di tutti i giorni e, sullo sfondo, sembra di veder nascere una piccola casa dove si materializza l’idea e l’ideale di borghesia attiva e operosa, incarnazione dello spirito costruttivo di una nuova e, forse, più equa società di cui Lucie e Darnay fanno parte. E sembra di sentire l’odore acre del vino e il ronzio diffuso del popolo francese a Saint-Antoine che chiede prima aiuto e poi vendetta. Vendetta nei confronti di quella nobiltà che vive agiata in uno château o in palazzi sfarzosi che poi diventeranno teatro di brutali e sanguinose decapitazioni.

Sydney Carton: l’ultimo dei romantici è il vero protagonista
Un posto d’onore merita la figura che più di tutte è avvolta nel mistero: Sydney Carton, in bilico tra due mondi senza appartenerne a nessuno, senza passato, futuro o fortuna, il cavaliere senza macchia di cui non si sa nulla, che resta sempre nell’ombra ma che è il vero eroe della storia. La sua è un’ironia disarmante ed elegante, quella di un uomo intelligente, di un’intelligenza di cui è dotato solo lui. Con un codice d’onore tutto suo, rappresenta l’ultimo baluardo dei valori aristocratici, lui che dovrebbe essere il primo dei borghesi. E invece niente, quel mondo non fa per lui, l’ultimo dei romantici in un’epoca di Terrore. È sprezzante, il nostro Carton, e lo è nei confronti di sé stesso e della realtà che lo circonda e lo è talmente tanto da rinunciare a tutto, anche al sogno di una vita fatta di gioia e d’amore. Un amore che crede di non meritare, un amore che allontana da vero cavalier servente, perché tutto quello che tocca sfiorisce, lasciando il passo alla morte mentre lui corre in contro al suo destino inerme.

L’happy ending non è per tutti
«Vedo il male del tempo presente nel male di quello che è stato e da cui questo si è natural-mente generato, e vedo quel male espiarsi da sé, e gradualmente svanire».
Un addio straziante, quello di un uomo incapace di plasmare la sorte a suo favore. Dickens non è un mago nel liberare i sentimenti dei suoi protagonisti che restano intrappolati nella rete del non detto. Ma c’è qualcosa di sublime in Sydney Carton, un personaggio che avrebbe potuto dire tante cose, svelando sentimenti ed emozioni in grado di riempire il cuore anche in epoche distanti tra loro e che invece riesce a malapena a guardarsi allo specchio e, quando lo fa, riesce solo a scorgere il volto di uomo che non conosce, di comune aspetto, dal lavoro comune, che vorrebbe non curarsi di nulla ma che sente ardere dentro di sé un fuoco che non sa e non vuole accendere.
Questa storia però, potrebbe essere tua.
Questa storia non è per tutti.
Questa storia non è per i deboli di cuore o per gli impavidi cavalieri.
Questa storia non è per chi ha fatto le scelte giuste o per chi ha già un programma per tutto. Questa storia è per chi sta facendo delle scelte, per chi è in divenire.
Questa storia è per chi si guarda allo specchio e cerca qualcosa di nuovo.
Anche se non sa cosa cercare.
Dedicato alla classe degli infelici.

EDIZIONE DI RIFERIMENTO
*Charles Dickens, Una storia tra due città, Milano, Mondadori, 2012
Cime Tempestose: il filo rosso tra Catherine e Heathcliff | Il Sublimista
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