Due lauree: scienze politiche e filosofia. Dottorato in Comunicazione e Ricerca sociale. Docente di Comunicazione, Digital Fashion Media, Semiotica della Moda e Fashion Writing alla Sapienza di Roma e allo IED, seguendo il motto “Learning by doing” (imparare sul campo). Giornalista, ghost writer e scrittrice con all’attivo numerose pubblicazioni.
“Le parole sono importanti. Questa frase riassume chi sono e cosa faccio.”
Le parole che sceglie di utilizzare Giulia Rossi, vestono di eleganza, cultura ed educazione una donna che non ha paura di legare forma e sostanza, ma che anzi ne ha fatto un lavoro e una filosofia di vita.
Giulia, il tuo CV è il più bello che io abbia mai visto. È talmente ricco che lo hai costruito come fosse un magazine, includendo citazioni e tuoi ritratti fotografici dal taglio istituzionale (la foto di copertina è di Francesco Ormando), ma anche fashion: due lati della tua personalità che sembrano convivere perfettamente in armonia.
Sì, è stato sviluppato come un vero e proprio progetto editoriale. In alcune professioni più che in altre, come nella docenza per esempio, a volte c’è un po’ un pregiudizio che l’immagine vada a discredito della credibilità. Io ovviamente non lo penso, anzi credo che lo sviluppo di un proprio portfolio fotografico sia importante.
L’Arte è bellezza, nella sostanza quanto nella forma. Il tuo nickname su Instagram è @unaragazzaperbene. Immagino sia un omaggio alle Memorie di Simone De Beauvoir. Come Simone, proponi una riflessione-provocazione: “L’abito fa il monaco”.
Nel mio ultimo libro “Digital Fashion Media” c’è una sua citazione tratta da “Il secondo sesso”, che parla proprio dell’importanza dell’abito e della relazione tra l’abito e il corpo.
“L’abito non fa il monaco” è un concetto po’ moralista e moraleggiante. Per chi invece affronta gli studi sulla moda dal punto di vista sociologico, “l’abito non fa il monaco, ma è come se”, perché il nostro punto di vista è di considerare l’apparenza non come un limite, ma come un veicolo per arrivare alla sostanza. Apparenza e sostanza, interno ed esterno, fuori e dentro sono facce della stessa medaglia. Non sono quindi separati, ma hanno un canale di trasmissione che bisogna interpretare; cosa, naturalmente, non immediata. Penso sia giusto dare la giusta dignità e la giusta importanza all’apparenza, per andare oltre essa e arrivare alla sostanza.
La prima cosa che guardiamo è l’apparenza, e questo non si può negare. Cerchiamo allora di capire, tramite un’analisi, come questa può rivelarci della persona. Se si ha un occhio allenato, ci si può arrivare prima.
Come intendi l’uso della moda nella costruzione o nell’espressione della propria identità?
Dal punto di vista individuale ci sono studi psicologici interessanti riguardanti, ad esempio, il momento dell’adolescenza, quando un individuo sta formando la propria identità e lo manifesta in un senso più trasformista o più a bozzolo.
Dal punto di vista dell’identità collettiva, si entra in un discorso che riguarda diverse culture e sub-culture. I momenti storici nei quali è apparsa più “uniformità”, spesso si sono poi rivelati come situazione pericolose di totalitarismi e abusi. Quando viene negata la libera espressione d’identità attraverso l’abito esteriore, la si fa percepire come una sciocchezza, quando in realtà di sta inibendo una parte della libertà.
Certamente non è la cosa più importante, ma a volte è come un piccolo segnale.
Se si guardano immagini di totalitarismi nella storia, si vede una grande uniformità di simboli e di colori. mentre se si osserva, ad esempio, il concerto di Woodstock, si nota la varietà.
Trovo sia un bellissimo filone di analisi, che in Italia si è sviluppato più di recente. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna il punto di vista delle Fashion Stylist è più sostenuto anche a livello accademico.
Negli Stati Uniti è molto importante il ruolo dei simboli e dei colori nella comunicazione politica, in Italia spesso ci si ferma invece al gossip del “chi veste chi”, ed è difficile che ci sia uno studio dell’abito più profondo dal punto di vista del personal branding.
Kamala Harris, ad esempio, ha fatto un grande lavoro al quale la stampa ha reso giustizia.
Al tuo lavoro accademico di approfondimento e ricerca, da oltre 10 anni integri il ruolo di professionista dell’informazione (come giornalista e addetta stampa del settore moda-lusso). Segui inoltre progetti di divulgazione culturale, come ad esempio il format “Lezioni di moda in pillole”, che hai appena lanciato sui social.
L’idea è nata dal voler dar voce sui social ad un formato sintetico ma profondo, che potesse, in maniera non esaustiva (in pillole), però molto precisa e con spunti specifici a testi classici, autori e concetti chiave, approfondire la cultura della moda, nel suo senso più generale.
Ho scelto una forma che rispettasse il linguaggio social, all’interno dei quali forma e sostanza devono coesistere.
Lo scopo è di divulgazione a vari livelli. Da un lato mi rivolgo agli studenti: è bello dare stimoli diretti e mantenere un legame che mi dispiacerebbe disperdere.
Dall’atro parlo ad aziende e professionisti del settore. È un approccio nuovo, degli ultimi 20 anni, quello di studiare moda per lavorare nella moda, prima lavoravi direttamente, come nel giornalismo.
Vorrei far sentire la mia voce tra l’accademia e la professione sul campo, che riesca a comunicare e diffondere un cultura della moda dal punto di vista sociologico, per non limitarsi a quello solo legato al prodotto e all’economia: non perché non siano temi importanti, ma parche non è il mio approccio. Farlo in una maniera piacevole.
Il mio editore per questo formato è stato Luxury & Finance fondato da Maria Elena Molteni.
Si tratta di un Network di pubblicazione e servizi nel mondo dell’editoria di moda, con un forte taglio economico, specializzato sui movimenti societari, di bilancio e manageriale; una sorta di Ansa per settore Lusso e Fashion.
La figura professionale che ti sei costruita è estremamente eclettica e spazia in diversi campi, che presuppongono anche diverse formae mentis. Cosa ti piace davvero fare?
Scrivere. Scrivo qualsiasi cosa. Al momento sono gosth writer per una sarta che ha creato un marchio nel tempo e ha una bellissima storia da raccontare. Io raccolgo tutti gli elementi e do un ordine narrativo alla stesura, che, in questo caso, sarà in prima persona. Amo anche tantissimo leggere: è un conforto. I libri sono amici.
Parlando di Autobiografie legate a icone della moda. Quali consiglieresti ai lettori del Sublimista?
“Shocking life” di Elsa Schiaparelli
“Christian Dior & moi” di Christian Dior
Qual è la tua vocazione?
Comunicare agli altri e per gli altri; e creare delle storie. Entrare nella vita delle persone, raccontandone le storie e con questo appassionare e lanciare dei messaggi.
Anche quando faccio comunicazione per le aziende, faccio operazioni più di tipo culturale. Non creo un messaggio brutalmente pubblicitario, ma scavo in profondità per capire cosa davvero rappresenta un Brand e cosa comunica veramente, e lo racconto attraverso una storia ben fatta
Da lettrice ho capito molte cose attraverso la lettura di alcuni romanzi.
Ci sono elementi visivi inseriti talmente bene in una storia, che poi ti rimane in mente e dimentichi più. Un esempio è il vestito verde in “Espiazione”, di Ian McEwan.
Questo succede perché le storie fanno parte della nostra vita, e non parlo del trand attuale dello story-telling: un lettore ce l’ha in sé.
La lettura per me è un atto salvifico. Nei libri trovi pace, trovi divertimento, emozioni.
Io questo sogno di farlo nella scrittura, ovvero nella lettura che gli altri avranno delle mie cose.
Per me le due attività sono speculari: non esiste l’una senza l’altra.
Hai un sogno?
Come tutti gli scrittori, vorrei scrivere la grande storia.
Come sempre, sarebbe una narrativa senza scopo e naturalmente rifletterebbe la mia storia, ma non in un senso biografico. Prenderebbe spunto da tanti fatti che nel tempo sono avvenuti.
Prima o poi.
Chi è “una ragazza per bene”?
Forma e sostanza. Chi crede in quello che fa, lo fa con entusiasmo e con passione, si impegna e cerca di trasmetterlo ad altri.
Cos’è il Sublime per te?
Essere in una condizione di piacere e felicità senza esattamente sapere perché.
Non è l’essere riusciti a fare qualcosa secondo una linea guida, come ad esempio montare un mobile: quella è soddisfazione. Sublime è sapersi sorprendere o cogliere emotivamente qualcosa – che sia natura, arte o cibo – e sentirla veramente.
Qualche tempo fa sono andata a Galleria Borghese con Alice, mia figlia piccola.
Lei era incantata dalla scultura di Apollo e Dafne, mentre io da quella di Paolina Borghese, proprio perchè questo tipo di piacere non ha a che fare con l’età o con la conoscenza, anzi, a volte l’estasi davanti ad un’opera riesce ad accadere proprio senza mediazioni, che a volte possono paradossalmente impedire di raggiungere quest’effetto.
Il Sublime non è perfezione razionale. C’è uno scatto diverso.
Come quei liberi dai quali non riesci a staccarti nemmeno quando arrivi alla fine. Li vorresti avere con te e li continui a sentire nel tempo: li ricordi, li vivi. Queso capita con cose che non c’entrano nulla con te. Ad esempio a me è successo con un romanzo di Kent Haruf che parla della caccia al bufalo sulle montagne. Non so dire perché ma mi è rimasto impresso e questo mi fa effetto: non ha a che fare con me, ma è talmente perfetto da essere sublime.
“Quell’abisso, il silenzio scandito dal tic-tac dell’orologio, mi intimorivano. Ma i libri mi rassicuravano: parlavano, non dissimulavano niente; in mia assenza, tacevano; quando li aprivo, dicevano esattamente ciò che dicevano.” Memorie di una ragazza per bene, Simone De Beauvoir
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Claudia Bevini
Buongiorno,
Sono una fotografa artista. Ho chiamato il mio progetto ArteModaCultura perché credo nell’importanza di creare valore attraverso la bellezza.
Sono aperta a collaborazioni per il progetto ” Il Sublimista” di mio interesse.
Cari saluti
Claudia Bevini
Manuela Masciadri
Buongiorno a te Claudia,
grazie mille per il tuo interesse.
Puoi scriverci a redazione@sublimista.it. indicandoci dove possiamo vedere i tuoi progetti.
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