Maestro vetraio, veneziano da generazioni; le sue creazioni hanno sfilato sul red carpet e sono state applicate a gioielli e installazioni artistiche. L’antica tradizione della murrina raccontata da chi, ancora dopo molti anni, dopo averne eseguita una, la porta in tasca per qualche giorno per capire quale sarà il suo posto nel mondo.
Foto copertina: Maurizio Rossi, ritratto di Antonio Dei Rossi.
Antonio Dei Rossi, eclettico Maestro Vetraio che spazia tra varie discipline, nasce figlio d’arte. Come hai vissuto la formazione con tuo padre e quella con l’Accademia delle Belle Arti di Venezia? In quale modo trovi che l’una abbia influenzato e/o completato l’altra?
Mio padre era un bravissimo Maestro Vetraio, con un percorso importante nell’arte del vetro artistico e collaborazioni di rilievo. Un mondo che io ho vissuto fin da piccolo ma, per una scelta di studi ed interessi diversi, vivevo ma senza esserne coinvolto a livello operativo.
Da qui il mio percorso artistico per quanto riguardava la grafica, l’illustrazione, la pittura, la moda. La contaminazione e l’utilizzo del vetro però era naturale e spontanea nei miei lavori finché ho deciso di seguirlo in fornace, coadiuvarlo nella sua passione per la murrina, venendone completamente coinvolto, ma allo stesso tempo non tralasciando la mia formazione artistica, di pensiero e progettuale per il design; infatti ho sempre considerato la murrina, non un punto di arrivo, come fu per i miei predecessori, ma un una prima tappa di un percorso più articolato.
Qual è il ricordo più bello che hai dei momenti trascorsi con tuo padre, imparando quest’antichissima arte?
La voglia di mio padre di tramandare il suo sapere, ciò che attraverso la sua esperienza in fornace era riuscito a elaborare sulla tecnica della murrina figurativa partendo dalla storia e dalla teoria, personalizzando il lavoro con la sperimentazione (prima di lui gli ultimi esemplari risalgono alla metà degli anni venti); e tutto ciò volerlo trasmettere a me sempre con orgoglio.
Quale invece il momento che ti ha più messo alla prova?
Quando mio padre ormai 85enne mi disse che non sarebbe più venuto in fornace, pur continuando a comporre murrine. Sentire addosso l’intera responsabilità della riuscita del lavoro, non solo del mio ma anche del suo, poiché per la fase di fusione in fornace ormai mi aveva passato il testimone.
Sei Maestro Vetraio dal 1999. Come si arriva ad ottenere questa prestigiosa qualifica?
“..Non sono maestro” rispondo a chi mi chiama maestro e mi viene controbattuto: “lo sei per far quello che fai” e in questo penso ci sia la risposta alla tua domanda.
Maestro in fornace è colui che sa fare e occupa per questo il posto principale: lo “scagno”. È un titolo che si acquisisce con la pratica e l’esperienza.
Il tuo laboratorio si trova sull’isola di Burano; come lo descriveresti?
Un caos di colori, di vetri, di idee (molte in stand by) ma anche un rifugio, un eremo creativo.
Quali sono le ispirazioni di Antonio Dei Rossi? Da quali altre arti o artisti ami farti contaminare?
Principalmente le mie opere sono il frutto delle mie elaborazioni mentali, sempre sostenuti teoricamente da principi più o meno concettuali. Le murrine possono essere input creativo di un’opera come l’opera può dettare il soggetto della prossima murrina. Importantissima è la relazione con amici/artisti e persone che stimo. Accetto le collaborazioni se ci credo fermamente. Il mio fare ha già contaminazioni continue date dalle mie esperienze formative e professionali.
Domenico Dolce ti ha chiesto di collaborare per la sfilata di Dolce & Gabbana realizzata nel 2021 a Venezia. Come hai dato forma alla collaborazione dal punto di vista creativo?
Quando personaggi di quel calibro ti conoscono e ti cercano e, nonostante la collaborazione sia stata esclusivamente nell’utilizzo delle mie opere nei suoi gioielli, è una grande gratificazione.
Come descriveresti cos’è una murrina figurativa? Cosa credi che le conferisca il suo fascino senza tempo?
Tecnicamente è un micromosaico costruito in spessore poi fuso e tirato in modo da ottenere una canna che tagliata in sezione da vita a delle fette di vetro riportanti miniaturizzato il disegno originale simile per cromie e dettagli.
Storicamente è una parte fondamentale dell’Arte vetraria veneziana.
Emotivamente è la consapevolezza di essere l’unico detentore dell’alta artigianalità, dell’eredità artistica della tradizione veneziana e di far già parte della storia vetraria.
Il fascino è dato dalla rappresentazione virtuosa dei soggetti composti esclusivamente di vetro fuso con una tecnica che ai più rimane quasi incredibile.
Vetro e fuoco. Come descriveresti la sensazione di quando lavori il vetro tra le tue mani?
Pura magia, meravigliarsi continuamente della possibilità di creare con un materiale cosi duttile e ostico, forte e fragile.
Essere attore e spettatore della propria opera. Conoscere il copione e sorprendersi del finale.
Tra le fasi creative del tuo lavoro, qual è quella che preferisci?
In ogni fase c’è lo stupore dell’inaspettato, una condizione che amo.
Lo stupore della creazione dei colori basata sull’empirismo e l’esperienza.
Lo stupore nella conclusione della composizione, lenta e metodica ma che le differenti altezze, seppur minime, delle cannette non fanno percepire perfettamente il disegno e aspettare, quindi, la fine della lavoro, toglierla dal supporto di costruzione e riuscire a godere sul retro della composizione un’immagine quasi perfetta senza le asperità.
Lo stupore in fornace, attimi che decidono il destino dell’opera, cercare di scorgere l’immagine dal taglio della canna prima di inserirla in tempera.
Ma anche la “moleria”, ovvero la fase di lucidatura, che fa scorgere finalmente la qualità dell’opera conclusa.
E molto spesso mi ritrovo a tenere in tasca per qualche giorno la scatolina dell’ultima murrina eseguita. Ogni tanto la guardo e il pensiero comincia ad elaborare una possibile applicazione al design, ad un gioiello. Anche questa una fase creativa che mi affascina.
Chi crea murrine dà l’idea di vivere una vita lenta, d’altri tempi. Come vivi la velocità contemporanea?
Dico spesso che il mio lavoro è anacronistico. I tempi lenti, metodici e riflessivi della composizione e lucidatura ma al contrario frenetici del lavoro in fornace.
È una condizione che rispetta i ritmi lagunari.
Personalmente però la mia vita si svolge anche in città (abito parte della settimana a Treviso) dove la realtà è molto diversa dinamica e trafficata, dove svolgo la mia attività di designer e dove insegno computergrafica.
Come credi si possa non perdere una tradizione così antica e trasmetterla alle nuove generazioni?
La storia della murrina figurativa vive di un’oscillazione continua. Osannata o dimenticata per decenni (a livello produttivo).
Vero è che i tempi sono cambiati e il mio sforzo divulgativo viene facilitato dalla tecnologia di oggi. Penso infatti che sia importante far conoscere e apprezzare una tecnica così particolare con radici profonde, sempre stata fino ad ora per pochi intenditori dell’arte vetraria. Il problema rimane la difficoltà esecutiva che, nonostante ci sia molto interesse anche dagli addetti ai lavori, difficilmente si cimentano nell’eseguirla.
Ci sono poi caratteristiche multiple che deve avere l’esecutore: la sensibilità cromatica, la capacità grafica e operativa per tutti i ruoli dell’esecuzione del pezzo e, sia per i tempi realizzativi e per la poca sicurezza del risultato, non si può pensare a farla diventare un’operazione commerciale.
Per assurdo poi non esiste un riconoscimento o un interesse delle istituzioni soprattutto veneziane (se non sporadico) e ci si trova da soli a difendere un patrimonio culturale importante. Anche la valorizzazione e l’interesse sui media locali è pressochè nulla.
Per il momento è la passione che mi ha trasmesso mio padre a tenere viva l’arte, poi, come fu nei tempi passati, silenzi di quaranta o cinquant’anni hanno caratterizzato la storia della murrina, fortunatamente sempre rinata e superata a livello qualitativo da chi ha deciso di farne la propria “missione”. Probabilmente sarà ancora cosi, nonostante il pericolo che arriva da oltreoceano che nella maggior parte dei casi è mercificazione e un abbassamento qualitativo per un’interpretazione senza storia.
Che cos’è il Sublime per Antonio Dei Rossi?
Per qualsiasi codice di lettura esiste il sublime e l’apice è relativo; ma per tutti è Il punto più alto della comprensione del bello dove oltre c’è l’assoluto.