Un progetto di Maria Giulia Trombini, fotografa, laureata in antropologia e giornalismo, pubblicato sul Washington Post (The Lily), che racconta la transizione di genere, da donna a uomo, del suo amico Nico Guerzoni; da vicino, come si può fare solo con fiducia reciproca.
Foto copertina: © Maria Giulia Trombini, dal progetto “My name is Nico – A Love Story”, con Nico Guerzoni.
Maria Giulia Trombini – Ho trovato il tuo lavoro incredibilmente intenso e toccante, come è nata l’idea di questo progetto?
Questa idea forse c’è sempre stata.
Sono cresciuta insieme a Nico, ci conosciamo fin da adolescenti; non è l’unico amico, direi fratello, che fa parte della comunità.
Ricordo, da adolescente, di aver provato molta rabbia; capivo che essere eterosessuale e cisgender era un privilegio – che assurdità!
Provavo rabbia pensando che le persone che amavo, e non solo quelle che amavo e a me più vicine, potessero, senza alcun motivo, subire discriminazioni, esclusione, violenza psicologica e fisica. Penso che averle nella mia vita quotidianamente, fin da giovanissima, abbia permesso che ne fossi costantemente consapevole; non potevo metterlo da parte, non pensarci, stare nel mio piccolo mondo. Il mio piccolo mondo sono anche loro.
Crescendo, questa rabbia ha preso un’altra forma: ho cominciato a pensare che la discriminazione e il sospetto provenissero solo dalla non conoscenza, non solo a livello teorico, ma prettamente pratico, quotidiano. Per questo motivo ho chiesto a Nico se volesse diventare amico di tutti e non solo mio. Abbiamo parlato a lungo del fine politico del lavoro e abbiamo deciso che avremmo voluto combattere gli stereotipi della nostra società attraverso l’intimità, cercando di smontare i preconcetti attraverso la realtà del particolare, in questo caso attraverso la realtà della vita di Nicolino, gli aspetti che compongono il puzzle della sua crescita personale, in cui l’identificazione di genere è solo uno fra i tanti aspetti.
Nico Guerzoni – Trovare il coraggio di raccontare la propria storia attraverso immagini così intime non è da tutti, ma tra te e Maria Giulia sembra esserci un rapporto speciale. Saresti riuscito a farti raccontare anche da qualcun altro? Se sì, che cosa pensi sarebbe cambiato?
Tra me e Maria Giulia c’è un rapporto speciale, non sarei riuscito a farmi raccontare da qualcun altro così. Sono un attore, ho una buona relazione con i mezzi multimediali, sono strumenti con i quali so avere un rapporto, ma bisogna vedere che tipo di rapporto.
Proprio perché sono un attore, per me è difficile andare oltre un rapporto performativo. Per poter fare un progetto come My Name is Nico, per raggiungere l’obbiettivo che Maria Giulia si è posta e l’unico che mi sembra avere un senso, bisogna fare proprio il contrario: andare nel profondo per guardare un’intimità. Da un lato non avrei mai potuto farlo con un’altra persona; in generale ho potuto farlo grazie al rapporto che ho con lei ma anche grazie al filtro della fotografia che mette davanti a una scelta.
O ti proteggi da questo filtro o ti metti a nudo.
Maria Giulia Trombini – In più di qualche scatto di questo lavoro, utilizzi la tecnica del vetro e del riflesso. Lo specchio e le superfici riflettenti da sempre si connotano con forti accezioni simboliche. Si tratta di un elemento che personalmente mi affascina molto. La sua ricorsività, nelle foto di questo lavoro, che cosa sta ad indicare?
Non ne sono completamente consapevole, utilizzo spesso gli specchi e i vetri nelle mie foto.
In parte, sinceramente, penso dipenda dai riferimenti visuali che ho dentro di me, ad esempio il lavoro di Karl Mancini, che è un caro amico e per me insegnante per osmosi, anche se quando lo dico lui si mette a ridere.
Nel progetto con Nicolino li ho usati molto di più di come normalmente faccio e forse ha a che fare con l’idea di identificazione e estraneità, due aspetti importanti nel percorso di crescita di una persona trans, ma penso per tutti, in realtà.
Quando Nico si guarda allo specchio lo fa profondamente, come se stesse cercando qualcosa. Quando Nico è dietro a un vetro, il riflesso delle cose attorno a lui, per me, aiutano a dipingere la complessità della sua interiorità – almeno questa forse era l’idea sotterranea mentre scattavo; se poi ci sono riuscita, non lo so.
Nico Guerzoni – Come vivi oggi il rapporto con il tuo corpo? Pensi che essere fotografato ti abbia aiutato o ti stia aiutando a conoscerti meglio?
Rispondo per oggi, che è il 15 gennaio. Il 15 gennaio sto bene con il mio corpo, forse il 16 sto male (ride) e il 14 peggio, magari il 13 meglio. E’ una cosa che varia in continuazione, le variabili che possono cambiare il mio stato sono tantissime: il rapporto con gli altri, quanto io mi sento vulnerabile, quanto sono stanco, o magari una mattina mi sveglio e mi sento bello – ma questo succede a tutti secondo me, ognuno con i suoi punti di debolezza e di forza. Sicuramente ho passato un periodo che non è finito ma è cambiato, in cui ero molto più in difficoltà di come sono ora.
Ora ho trovato una dimensione nella quale mi sento bene che è in continua evoluzione.
Mary lo sa, vedendo alcuni scatti mi impressiono, ma non mi impressiono in senso negativo; semplicemente mi vedo in un modo in cui da solo non mi potrei vedere, vedendo altri scatti sto benissimo.
Il lavoro di Mary è un po’ come se mi permettesse di vedere tanti lati di me, non solo uno, perché scegliamo assieme: io scelgo cosa mostrare, Mary sceglie cosa prendere. Però essendo assieme non sono solo io, non è come quando ci si guarda allo specchio e si è soli a decidere; qui c’è un altro specchio davanti a me, che è il mio riflesso in un qualche modo perché siamo lì insieme.
E questa cosa la trovo molto interessante, penso sia più interessante che guardarsi da soli.
Proprio nel percorso di conoscenza di se stessi, parlo di me come persona trans ma potrei dire anche in generale, lo trovo uno strumento utile. La fotografia può aiutare a sentirsi bene con se stessi, a vedersi; a volte è difficile guardarsi davvero.
Maria Giulia Trombini – Nel cinema, grazie a film come The Danish Girl (2015, regia di Tom Hooper) e Girl (2018, regia di Lukas Dhont), ma anche al di là degli schermi, grazie a storie assurte alle cronache, come quella dei fratelli Wachowski, oggi sorelle, o dell’attrice Ellen Paige, oggi Elliot, la transizione di genere è diventato un tema di grande rilievo e attualità.
Quali influenze, se ci sono, ti hanno ispirata di più nel raccontare questa storia?
Ho visto entrambi i film molto prima di cominciare il progetto con Nicolino. Quello che guardo lascia delle tracce, delle impronte, e sicuramente li ho portati dentro di me mentre scattavo, anche senza rendermene conto completamente.
Le influenze maggiori però sono stati i lavori di Araki, come Sentimenal Journey e Winter Journey, e The Ballad of Sexual Dependency di Nan Goldin, sono dei maestri nel saper vedere e far vedere la potenza della vita che avviene e la sua intimità, le sue sfumature quotidiane quasi invisibili.
Nico Guerzoni – Abbiamo parlato di cinema e tu sei attore e modello; credi che la tua esperienza in questo campo ti sia servita a darti la forza per metterti a nudo e raccontarti?
Lavorare come attore e modello mi ha dato la forza per dire a Mary: “Si, facciamolo”, poi da un lato può essere anche un contro, come dicevo. A volte quando lo fai come lavoro metti davanti l’attore e il modello; con Mary a un certo punto abbiamo lavorato per pulire questo lato e andare a cercare Nico, non “Nico attore”, “Nico modello”.
Spero che si sia riusciti ad andare oltre a questa cosa, perché per quanto possa essere uno strumento per sentirsi a proprio agio, bisogna andarci oltre perché l’attore e il modello sono una parte di Nico, non sono tutto Nico.
My Name is Nico – A Love Story. Trovo sia davvero un bellissimo titolo, molto adatto al lavoro. Chi l’ha scelto? Vorreste spiegarcelo?
Maria Giulia Trombini – Il titolo è ispirato completamente a un film di Virzì, che si chiama appunto My Name is Tanino. Lo vidi da bambina e non l’ho mai più visto da allora, ma ho questo ricordo di Tanino, giovane ragazzo siciliano che, innamorato di una ragazza americana, decide di andare in America a cercarla. In America, in quanto italiano che non parla inglese, viene spesso guardato e trattato come un alieno. Almeno questo è il mio ricordo di bambina.
Nico una volta mi ha detto che, secondo lui, le persone trans vengono spesso pensate, in modo stereotipato, come alieni che vivono in un altro mondo. Il titolo allora era provvisorio, ma quando Nicolino mi ha detto questa cosa, ho deciso di non cambiarlo più.
A Love Story, perché è la sua storia d’amore per se stesso e per le persone attorno a lui, per il suo lavoro, per le sue scelte. Ed è anche una mia lettera d’amore per lui e per gli altri amici e compagni con cui siamo cresciuti.
Nico Guerzoni – Una delle foto che preferisco è quella di te e tuo padre. La trovo estremamente intensa e il tuo sguardo è magnetico. Come vivi il tuo rapporto con la tua famiglia? Quale degli scatti di Maria Giulia credi ti rispecchi di più?
Vivo bene il rapporto con la mia famiglia e mi ritengo molto fortunato.
Con la mia mamma non ci sono stati ostacoli, con il mio papà invece siamo andati oltre qualsiasi ostacolo possibile – che non è mai stato un ostacolo però era possibile per questioni di storie, di ambienti.
Un aneddoto interessante: siamo arrivati al punto per cui mio padre chiede a me se può pubblicare delle cose in cui parlo di transessualità perché ha paura che io non voglia o abbia dei problemi, mentre lui non ne ha; il rapporto si è evoluto fino a questo punto.
C’è un ritratto, sembra banale da dire, in cui mi vedo bello. E’ così, poi non so se lo sono, non me ne frega niente, mi ci vedo io. In quella foto sono proprio io, riconosco il mio sguardo.
Anche la foto con mio papà mi piace tanto. Mi piace il fatto che non ci guardiamo però in qualche modo lo facciamo, come se i nostri sguardi che vanno in due direzioni diverse tornassero indietro e si unissero.
E’ molto esplicativa del nostro rapporto.
Maria Giulia Trombini – Perché per te era importante raccontare questa storia? Quando pensi potrai considerare concluso questo progetto?
Penso sia fondamentale cercare di costruire una società in cui sia riconosciuto che siamo tutti singolarità inscritte nella diversità del mondo, e che quindi la parola “normale” – una parola terribile che produce solo sofferenza – è un concetto culturalmente costruito da lasciare da parte.
Qui nessuno ha mai avuto fiducia che questa spinta culturale possa provenire dalla classe dirigente, da nessuna classe dirigente. I progressi sociali che sono avvenuti in questi anni sono merito della nostra generazione e delle generazioni ancora più giovani.
La fine dei pregiudizi e delle discriminazioni che deriva da questi progressi culturali purtroppo apparterrà al futuro, quindi noi oggi sappiamo che è fondamentale parlarne e raccontare queste storie nel presente. Rispondo io a questa domanda, ma sono sicura che Nicolino la pensa esattamente come me; ne abbiamo parlato a lungo.
Idealmente il progetto non finirà mai. Forse finirà quando e se Nicolino sceglierà di diventare papá. Ma forse nemmeno allora, non so se riuscirei a non fotografare il futuro eventuale figlio o figlia di Nicolino. Vorrei però che il progetto finisse perché non c’è ne é più bisogno.
Vorrei che diventasse una storia diversa, solo una storia di vita, come un ritratto di famiglia.
Maria Giulia Trombini e Nico Guerzoni – Il Sublimista® vuole ispirare la ricerca del Sublime, in primis attraverso arte, fotografia e letteratura, affinché chiunque possa trarne giovamento e rendere la sua stessa vita un’opera d’arte.
“Diventa ciò che sei” è un verso pindarico reso celebre da Nietzsche che credo si attagli molto sia al nostro progetto che alla bellissima storia che ci avete regalato. Ma per voi, che cos’è il Sublime?
N: Okay.
M: (ride).
N: E’ una domanda complicata. Forse possiamo dire che sicuramente è qualcosa che ha a che fare con l’arte, intesa come un atto, un gesto, nel quale più cose possono trovare un’unione. E credo che in questo progetto qualcosa di simile, almeno dentro di noi, sia accaduto – si è unito il personale, si è unita la mia intimità, l’intimità di Maria Giulia, la mia storia, due professionalità che si sono incontrate e anche un’amicizia. Tutti questi elementi insieme hanno creato qualcosa.
M: Non sappiamo se è sublime… Però qualcosa è successo
N: Qualcosa è successo! E diciamo che perché qualcosa sia sublime forse qualcosa deve succedere? No, non voglio che questa definizione vada a significare che il nostro progetto sia sublime.
M: (ride) “Perché io Nico, sappiatelo, sono sublime!”
N: Ah, io, chiaro, sono sublime! (ride). Forse sublime è qualcosa che per sua natura si eleva rispetto al resto, in qualche modo, che sta in una dimensione altra. Il potere dell’arte è sublime.
M: Il potere dell’arte sicuramente è sublime, in questo caso forse potremmo dire, ricollegandoci alla citazione di Nietszche che è “diventa ciò che sei”, che forse per questo progetto se si parla di sublime allora si dovrebbe parlare soprattutto di libertà.
N: Si.
M: La totale libertà di essere se stessi, conoscersi, rientrare in se stessi e poter vivere se stessi, nonostante tutto quello che accade attorno. No?
N: Si, confermo. No, nonostante tutto quello che accade attorno no, nel senso che tutto quello che accade attorno, non accade, non ti tocca. Perché quando riesci davvero a sentirti così il resto diventa piccolo. Ecco questo è sublime.
M: Ecco questo questo sì, sarebbe sublime. Purtroppo però io sono un po’ più realista Nini, e credo che quello che accade attorno un’influenza su di noi ce l’abbia.
N: Certo. Ma noi… Noi Lottiamo.