A tredici anni scatta la sua prima foto, a ventidue si suicida buttandosi da un palazzo di New York. Da talento prodigio a icona della fotografia. Le sue foto sono il racconto della caduta negli inferi di una giovane donna o la testimonianza di quanto sia difficile per un’artista sopravvivere alla propria arte?
L’incontro con Francesca Woodman
Un quantitativo indicibile di anni fa facevo l’Accademia di Belle Arti ed ero appassionata di fotografia. Ero dotata di una buona dose di timidezza, ma forse non di pudore; cosicché, una volta usate tutte le mie amiche, non avevo altro da fotografare a parte me stessa. Quello che oggi tutti chiamano narcisismo, nella fotografia è semplicemente convenienza.
Ricordo un giorno durante una lettura portfolio, Maurizio Galimberti guardò un paio delle mie foto e mi chiese se conoscevo il lavoro di Francesca Woodman.
Di chi? Risposi.
Evidentemente voleva dirmi: ragazza, smetti subito di fare quello che stai facendo e mettiti a studiare.
Cominciai a digitare su internet: Francesca Woodman. Mi comprai dei libri. Mi si aprì un mondo in bicolore, ambiguo, sensuale, di una profondità devastante. Ancora prima di conoscere la sua storia, mi ritrovai ad essere incredibilmente attratta dalle sue foto.
Chi era Francesca Woodman? Dal primo autoritratto al suicidio
Francesca Woodman è stata un talento prodigio, è considerata una delle fotografe più enigmatiche del XX secolo.
Nata nel ’58 a Denver, in Colorado. Sua madre, Betty Woodman, era una ceramista. Suo padre, George Woodman, un pittore, ma più avanti nella sua carriera deciderà di dedicarsi anche alla fotografia.
Da bambina Francesca Woodman trascorse molte estati in Italia, dove la famiglia possedeva una fattoria; il legame con il nostro paese l’ha poi portata a studiare a Roma, durante il suo primo anno di studi artistici, mentre frequentava la Rhode Island School of Design.
Francesca Woodman scatta la sua prima foto a soli tredici anni e lascia un corposo lavoro, composto da oltre 800 immagini.
A soli ventidue anni si suicida buttandosi da un palazzo di New York.
Prima di morire Francesca Woodman pubblica “Some Disordered Interior Geometries”, la sua prima opera, costituita da un libro di geometria per bambini delle elementari, con quindici fotografie incollate al suo interno.
Francesca Woodman. Talento incompreso tra ambizione e fragilità
È praticamente impossibile trovare una fotografa che, ad un certo punto, non si sia interessata al lavoro di Francesca Woodman; lavoro che quando era in vita non è mai stato pienamente compreso. Francesca Woodman veniva guardata con sospetto negli ambienti artistici che bazzicava, perché troppo determinata, troppo sicura di quello che faceva. Il suo modo di fotografare era troppo avanti rispetto al suo tempo.
Francesca Woodman è nota per gli autoritratti in bianco e nero. Le superfici specchianti sono i tòpoi dell’indagine conoscitiva propria dell’autoritratto, e infatti la Woodman utilizzava spesso specchi, vetri, riflessi, sagome, in cui riflettere o imprimere se stessa.
C’è un’urgenza carnale nelle foto di Francesca Woodman, dalle quali traspare una sessualità viva, è come se in ogni scatto si percepisse il bisogno di allontanarsi da se stessa; per dimezzare la cifra della sua pesantezza, scostarsi dalla Francesca che era materia ingombrante e farsi assenza.
C’è un corpo appeso e un corpo molle.
Una Francesca Woodman che è presenza e assenza, visibile e invisibile.
La figura di Francesca Woodman e le sue opere sono continuamente reinterpretate attraverso temi della femminilità, alterità, sessualità e analisi psicologica. Per certi versi potremmo dire che il lavoro della Woodman è stato parte di quell’avanguardia femminista degli anni ’70, che scostandosi dai modelli imposti creò una propria visione di femminilità.
“È una questione di convenienza: io sono sempre disponibile”
Francesca Woodman
Francesca Woodman. Il rischio psicologico di essere un’artista
Credo che l’interesse del pubblico per il lavoro fotografico di Francesca Woodman sia preceduto o vada di pari passo alla sua storia tragica, e allora viene naturale chiedermi quanto le due cose si siano alimentate a vicenda.
Mi chiedo se le foto di Francesca Woodman siano il racconto di un disagio, della caduta negli inferi di una giovane donna; oppure se la sua opera, così programmatica e consapevole, non sia invece la testimonianza di quanto sia difficile per un’artista sopravvivere alla propria arte.
Il documentario The Woodmans uscito nel 2010 offre degli spunti interessanti per capire cosa c’è stato dietro alla vita di questa giovane artista.
Innanzitutto è chiaro che l’esposizione di Francesca Woodman all’arte è iniziata dal giorno in cui è nata.
Entrambi i suoi genitori erano artisti molto concentrati, hanno insegnato a Francesca e al fratello maggiore Charlie il valore dell’arte nella vita. Mi ha particolarmente colpita un momento del documentario, in cui la madre Betty, ricorda di come i suoi figli siano cresciuti “terrorizzati all’idea di rompere un vaso o qualsiasi altra sua creazione”.
Al contempo il fratello Charlie, diventato anche lui artista di video performance e professore, ricorda momenti della loro infanzia costellati dalla paura di interrompere il processo di creazione artistica dei loro genitori.
Francesca Woodman ha imparato fin da piccola a rispettare e apprezzare la pratica quasi sacra del fare arte, compreso l’isolamento e la frustrazione che ne conseguono.
Questo mi ha fatto pensare ad uno dei grandi paradossi di un certo modo di essere artista; e cioè, la costruzione di una sacralità dell’arte, a discapito della vita.
La famiglia Woodman nega che Francesca abbia mostrato segni di depressione o di ideazione suicidaria, e tutto il documentario l’ho percepito come una crescente escalation verso un senso di colpa che rimane indicibile, perché quel sentimento per l’arte, e infine l’ambizione, sono più forti di ogni altra cosa.
La sua arte è diventata infinitamente più importante e riconosciuta di quella della sua famiglia.
Avanguardista, è stata perfino capace di anticipare la sua morte.
Oggi Francesca Woodman è un’icona nel mondo della fotografia. Forse era questo quello a cui aspirava.
di averci aperto una finestra
su di un’anima in tensione
su un corpo spellato
sul fragile equilibrio tra arte e vita
Noi, le siamo infinitamente gratə.
Maurizio
Leggo sempre con passione ed interesse i vostri articoli che danno sempre spunti su cui riflettere. Amo la fotografia e avevo sentito parlare di Francesca ma vi ringrazio perché questo vostro articolo me l’ha fatra conoscere meglio e sotto un’altra luce, nell’ombra come in una fotografia📷🎞️