Con collezioni disegnate in Italia e realizzate a mano in Africa, Endelea costruisce un ponte tra i due continenti, porta lavoro e crea valore, tracciando collaborazioni con università e aziende italiane che vogliono aprirsi al talento e alla creatività africana. Perché Sublime è la capacità di fare succedere le cose, insieme.

Francesca, sei CEO, co-founder e anima di Endelea. Da dove nasce il vostro progetto?
Il progetto Endelea non nasce tanto da un’idea quanto da un momento di sofferenza e dal conseguente bisogno personale, umano, di fare qualcosa che potesse avere un impatto positivo sugli altri.
Ho inviato il mio curriculum a diverse organizzazioni umanitarie, per poi rendermi conto che, forse, nemmeno quella era la strada giusta per me.
In un momento di profonda crisi personale, per dare finalmente una scossa alla mia vita e aprirmi a nuove prospettive, ho quindi deciso di partire per l’Africa, destinazione Zambia, per un’esperienza di volontariato durante le vacanze di Natale.
Qui, con dei tessuti acquistati in un mercato locale, mi sono fatta cucire una gonna dalla sarta del villaggio in cui vivevo: la stoffa era bellissima, ma la gonna era immettibile.
Da questo episodio nasce l’idea, con Serena Izzo, co-fondatrice del brand, di creare abiti dal design italiano utilizzando tessuti wax africani.
Le collezioni vengono disegnate in Italia, a Milano, per poi essere realizzate a mano, in Africa, dove Endelea porta lavoro e crea valore.
Abiti e accessori vengono poi venduti in Europa e una percentuale dei ricavi viene investita in attività di formazione in loco, ma anche per sponsorizzare progetti di collaborazione tra università italiane e tanzaniane.

Perché Endelea ha scelto proprio la Tanzania?
Mentre in altri Paesi africani ci sono più possibilità e più competenze di fashion design, in Tanzania la maggior parte dell’abbigliamento è importato dall’Europa o dall’Asia, c’è pochissima produzione locale e l’imprenditorialità della moda è praticamente assente.
La scelta di Endelea è quindi ricaduta su una realtà nella quale avrei potuto fare la differenza, portando competenze e incoraggiando lo sviluppo di una locale industria della moda.

Che accoglienza è stata riservata a voi e al progetto Endelea?
Il popolo tanzaniano è indubbiamente amichevole e ottimista, e da subito ha dimostrato un approccio positivo nei confronti del progetto. Per assurdo, visioni più pessimistiche sul futuro di Endelea le ho incontrate in Italia.
I primi due anni di Endelea sono stati i più difficili per questioni pratiche e di mediazione culturale.
A fine 2019 abbiamo dato vita a un gruppo di lavoro aperto all’ascolto, alla collaborazione e alla fiducia reciproca, con il quale abbiamo realizzato, a oggi, quattro collezioni e stiamo lavorando alla quinta.

Quali sono le sfide lavorative che Endelea ha incontrato in Tanzania? E in Italia?
Tra l’Italia e la Tanzania la variabile chiave è il tempo: mentre in Italia si tende a pianificare a lungo termine, in Tanzania il senso del tempo è molto breve, forse perché ci sono dei problemi pratici, come la mancanza di corrente o i numerosi ritardi, con cui dover spesso fare i conti. Ti devi armare di pazienza e accettare l’imprevisto, senza mai perdere la voglia di dare il meglio.
Con il tempo ho imparato ad adattarmi in base a dove mi trovo, senza dimenticarmi del fatto che, in Africa, porto del valore aggiunto, il che significa che è mio compito proporre, senza giudizi e incentivando dialoghi costruttivi, modi alternativi di lavorare, con il fine di ottenere prodotti qualitativamente migliori che possano aprirsi al mercato europeo ed extraeuropeo.

Com’è composto il team di Endelea?
I team Endelea sono due, uno italiano e uno tanzaniano.
Il primo Team Endelea è composto da me e Serena, co-founder, da mio fratello Andrea, direttore finanziario, e da un gruppo di professionisti nell’ambito della moda, per lo più donne.
In Tanzania, dove sono amministratore delegato e, insieme ad una ragazza tanzaniana, director, abbiamo un Team Endelea operativo di sarte e sarti.
La collaborazione e la fiducia tra i due Team è stata ed è fondamentale per rendere Endelea un brand in grado di creare valore per il cliente finale, ma anche per coloro che lavorano al progetto.

Che significato ha “Endelea”, il nome che avete scelto per il vostro brand?
Volevamo che il nome del brand Endelea fosse una parola che avesse un significato bello e un suono facile per un europeo.
“Endelea” è una parola Swahili che significa “andare avanti senza fermarsi”.
Per il payoff, la scelta è invece ricaduta sull’inglese “Dream bold”, sia per simboleggiare il ponte tra i due continenti e le due culture, sia perché pensavamo che rappresentasse bene lo spirito e la missione del progetto, ovvero quella di supportare gli studenti, i bold dreamers per eccellenza, nella loro formazione.

Endelea: quali sono le progetti e sogni per il futuro del Brand?
Endelea chiude il 2021 con soddisfazione. Per il 2022, a livello di business Endelea si è posta l’obiettivo di crescere, il che significa aumentare le risorse umane, la produzione e cercare di aprirci a nuovi mercati, vendendo anche in Africa e in America.
Sul fronte dell’impatto sociale, oggi Endelea è partner ufficiali dell’Università di Dar es Salaam.
Quest’anno Endelea ha già attivato un progetto pilota: un corso di fashion design di 30 ore, per i ragazzi del terzo anno, tenuto da una professoressa del Politecnico di Milano.
Endelea vorrebbe continuare su questa rotta e, sempre con l’ottica di creare un vero e proprio ponte tra l’Africa e l’Europa, tracciare nuove collaborazioni, anche con università e realtà aziendali italiane che vogliono aprirsi al talento e alla creatività africana.

Cos’è per te il Sublime e qual è il lato sublime di Endelea?
Il Sublime del progetto sono le persone, la loro capacità di stupirsi sempre.
Anche quando tutto sembra andare storto, le persone con voglia di fare e che credono nei propri progetti riescono a far funzionare le cose.
Nel dicembre del 2017 ho partecipato alla fashion week organizzata dall’ambasciata italiana in Tanzania.
In quell’occasione ricordo che dissi a Serena, partita con me, che da lì a qualche anno saremmo state capaci di sponsorizzare la collezione di un tanzaniano e di portarla sulla passerella.
Noi saremmo state in grado, con il nostro progetto, di cambiare la vita a qualcuno.
Quest’anno, ce l’abbiamo fatta.
Questo è il Sublime: la capacità di far succedere le cose, insieme.
