Claude Cahun: la pioniera androgina della fluidità di genere

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Claude Cahun: la pioniera androgina della fluidità di genere

Fotografa e scrittrice surrealista. Andrè Breton la definisce “lo spirito più curioso di questi tempi”, il regime la condanna a morte. Usando il suo corpo come un foglio bianco, è tra i primi artisti a non adattarsi all’imposizione di un’unica identità.

La pioniera della sessualità fluida che ha abbattuto i pregiudizi sullo stereotipo della femminilità

Cosa significa “gender fluid”

Al giorno d’oggi, il gender fluid è ormai un argomento sdoganato, rigirato in tutte le salse, approfondito sotto ogni punto di vista e ogni ambito della vita quotidiana, diventando addirittura una tendenza o una parola chiave per raggiungere più consensi. Eppure non se ne parla mai abbastanza, causa la disinformazione, l’ignoranza o la xenofobia che regna sovrana in un mondo fatto di favole in cui il principe azzurro arriva a salvare la bella addormentata.

Parlando di fluidità di genere, non si può che strizzare l’occhio a Claude Cahun, la pioniera androgina di un modo di fare arte innovativo e rivoluzionario.

© Claude Cahun – autoritratto

Chi è Claude Cahun, pionera del gender fluid

Claude Cahun nasce il 25 ottobre 1894 a Nantes, da una famiglia facoltosa di intellettuali francese; il suo nome è inizialmente Lucy Schwob.
Quella che al tempo chiamavamo ancora Lucy, viveva una situazione familiare di certo non delle migliori, portava il peso di doversi destreggiare sotto l’ala imponente di un facoltoso padre, mentre la madre soffriva di gravi problemi psichici, che la portarono a essere internata quando Lucy era ancora una bambina.

Successivamente la situazione per la piccola Lucy diventa insostenibile e per questo viene spedita dalla nonna. Quando la ragazzina torna in visita dal padre, lo ritrova sposato con un’altra donna e l’artista si innamora proprio della figlia di quest’ultima. Quella che sarebbe dovuta essere la sua sorellastra, diventa invece il suo primo vero colpo di fulmine: Suzanne Malherbe, amante, musa e collaboratrice più stretta.

Nasce da qui l’ispirazione, lo slancio creativo e l’indubbia tendenza visionaria dell’artista che comincia da subito a firmarsi Claude Courlis, per poi cambiare in Daniel Douglas e arrivare definitivamente ad assumere il nome di Claude Cahun, che definisce come una rappresentazione effettiva di sé, piuttosto che come uno pseudonimo.

© Claude Cahun – autoritratto

Claude Cahun: fotografa e scrittrice con tematiche gender

Claude Cahun, insomma, un nome “neutro”, come dimostrano le diverse testimonianze tra uomini e donne che portano questo nome. Difatti l’artista era ossessionata dalle differenze di genere e usava se stessa come soggetto di studio: la sua opera è fortemente autoreferenziale.
É facile notare nell’arte di Claude una forte tendenza ad una ricerca politica e decisamente personale.

Il primo autoritratto risale al 1913, quando aveva solo 19 anni. Ne segue una lunga serie nella quale si inizia ad intravedere una propensione al travestimento. Osserviamo il corpo dell’artista, protagonista indiscusso, prendere le sembianza di donne del passato: una mutazione, una transizione che va dall’io e arriva al tu, noi, voi o loro, aiutandosi con maschere e costumi mitologici recuperati da abiti di scena teatrali.

© Claude Cahun – autoritratto

Claude Cahun: dall’amicizia con i surrealisti alla rottura di confini gender, fino alla condanna a morte

Fra il 1932 e il 1938 la Cahun diviene un’attivista all’interno del mondo artistico parigino, ma, rendendosi conto suo malgrado di quanto l’ambiente surrealista fosse intrinsecamente e naturalmente maschile, e nonostante Andrè Breton la definisse “lo spirito più curioso di questi tempi” e la incoraggiasse a scrivere e pubblicare, la sua produzione artistica e letteraria rimase per molto tempo sconosciuta.

Nel 1938 Claude si trasferisce assieme alla compagna sull’isola di Jersey, mantenendosi comunque in contatto con i surrealisti parigini. Durante la Seconda Guerra Mondiale le due artiste si uniscono alla resistenza, opponendosi fermamente al Nazismo e distribuendo dei volantini che incitavano all’insurrezione, firmati “il soldato senza nome”. Le loro scelte politiche e la dichiarata omosessualità le faranno successivamente arrestare e condannare a morte dai tedeschi.

© Claude Cahun – autoritratto

Dal 1944 al 1945 vivono il tormento della prigionia, su cui grava l’angoscia di aver perso ogni bene. La loro casa sull’isola, viene infatti saccheggiata e la produzione fotografica quasi completamente distrutta perché ritenuta pornografica.

In seguito, Claude tenta di riallacciare i rapporti col gruppo surrealista, incontrando più volte Andrè Breton e Max Ernst e progettando di tornare a Parigi, ma il desiderio non verrà esaudito vista la sua prematura morte nel 1954, a causa di un’embolia polmonare.

Claude Cahun: l’ossessiva ricerca d’identità. Il tema del gender

Claude Cahun rappresenta e reincarna il desiderio cocente di una ricerca dell’identità che quasi la perseguita. Le sue scelte risultano infatti esplicative per quanto riguarda il fattore psicologico, sempre presente e imprescindibile nel suo lavoro. Una continua autoreferenza, un’ammissione di individualismo che racconta di scenari apocalittici inseriti in contesti quotidiani, dove l’unico collegamento tra queste due estremità apparentemente contrastanti, risulta essere il corpo stesso dell’artista: mutevole, cangiante e in una continua evoluzione, tanto da arrivare all’alienazione di questo stesso involucro che la contiene.

Sostanzialmente verte tutto su uno sguardo pesante, difficile da reggere, pieno, emotivamente disturbante, una posa articolata, un movimento grottesco, insolito, che paradossalmente ci fa subito ricondurre tutto e comprendere il contesto in modo totale.

© Claude Cahun – autoritratto

Claude Cahun e l’importanza dell’opera che distrugge stereotipi gender

Il fattore realmente interessante di questa donna sorprendente non è tanto la linea fluida che le permette di destreggiarsi tra un genere e l’altro, ma più che altro il non adattarsi a una versione stereotipata di identità singola, concedendosene invece molteplici, permettendosi di non limitarsi a una sola identità proposta dalla società come singola e unica.

Insomma, l’arte come mezzo di fuga da una realtà che soffoca e rimane stretta. Optando per il travestimento come mezzo per la realizzazione di un’identità repressa e soffocata da un mondo che non la comprende e tanto meno la intuisce, la Cahun usa il corpo come un quaderno dai fogli bianchi sul quale scrivere e cancellare tutte le volte che si vuole, senza strapparne le pagine.

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