Classe 1995, i suoi progetti fotografici sono già apparsi su The New York Times e Der Spiegel. Il suo progetto “Like the tide” – come la marea – è stato pubblicato sul National Geographic e D-La Repubblica, e nominato all’Oskar Barnack Award. Una ricerca che parte dalle sue antiche radici familiari ed esplora le sfide quotidiane; con un occhio alla pittura di Rembrandt.
Foto copertina: © Chiara Negrello, dal progetto “Like the tide”. Maria Rosa apparecchia la tavola per il pranzo. Anche se anziana, Maria ha iniziato a pescare per aiutare la famiglia un anno fa dopo la morte del marito pescatore. Ora pesca con la nipote Alessia. Goro. 31 marzo 2021.
Chiara Negrello, cominciamo innanzitutto con una domanda un po’ inflazionata, ma che trovo sempre molto interessante, perché può dare adito alle più disparate risposte: come e quando nasce la tua vocazione da fotografa?
La mia vocazione per la fotografia nasce più o meno quando avevo 14 anni.
Stavo visitando Venezia quando, rientrando in serata verso casa, mio zio, che era in treno con me, mi ha prestato la sua macchina fotografica; mi sono così ritrovata a fotografare Venezia di notte, dal finestrino.
Questo è il mio primo ricordo del mondo guardato attraverso l’obiettivo; ricordo ancora le emozioni fortissime che mi ha dato.
Potremmo dire quindi che ho iniziato da lì. Più crescevo, più cresceva con me sia la passione per la fotografia che, soprattutto, per il giornalismo. Crescendo in me e con me, mi ha fatto capire che era davvero quello che volevo fare.
Con il tempo ho poi compreso che per me la fotografia è una sorta di conversazione silenziosa che ho con i miei soggetti. Io sono una persona che di natura nasce molto timida; avere la possibilità di raccontare storie attraverso l’obiettivo mi dà l’opportunità di instaurare delle bellissime relazioni con persone che, probabilmente, altrimenti non avrei mai conosciuto.
Ci sono fotografi o lavori che sono stati di ispirazione per Chiara Negrello? Se sì, in cosa?
Sicuramente studiare storia della fotografia all’Università mi ha dato la possibilità di ampliare la mia visione, ma i linguaggi espressivi dai quali prendo più ispirazione sono la pittura e la scultura: amo perdermi nei chiaroscuri, nei gesti, nello studio delle luci, e quindi sicuramente uno dei miei periodi di riferimento è il Rinascimento.
Quello che però davvero non mi stanca mai sono i pittori olandesi e fiamminghi: loro sono quelli che preferisco e a cui mi ispiro di più.
Dal tuo sito possiamo vedere che ti sei occupata di progetti che raccontano diversi temi: dalla tua stessa famiglia, alla celebrazione della messa nell’era pandemica; dalla battaglia di alcune madri contro la contaminazione da PFAS delle falde acquifere in Veneto, al problema dei rifiuti in Ecuador, affrontato dalle Recicladoras de Quito; passando infine, naturalmente, per il long term project Like The Tide, che racconta la doppia vita delle Pescatrici della valle del Po.
Qual è il Fil Rouge che tiene insieme il lavoro di Chiara Negrello e come nasce un progetto che decidi di raccontare?
Non direi di avere un solo un filo conduttore che accomuna tutti i miei progetti, perché ce ne sono sempre molteplici che mi spingono a raccontare una storia.
Quello che senz’altro lega tutti i miei lavori è il racconto della quotidianità, intesa un po’ come lente per andare ad esplorare altre tematiche che mi interessano, sia dal punto di vista sociale che economico; soprattutto mi importa approfondire le piccole, grandi sfide o battaglie, le difficoltà di tutti i giorni, e come le persone reagiscono.
Sicuramente tendo ad avere uno sguardo rivolto più al mondo femminile, probabilmente perché da donna vivo queste storie quasi come fossero le mie.
I miei progetti nascono principalmente da una curiosità iniziale, che poi diventa ricerca e approccio sul campo; soprattutto, nascono dalla voglia di lasciarsi sorprendere da quello che trovo e che, per fortuna, non è mai come me lo immaginavo.
Hai detto che le persone che fotografi sono spesso per te dei modelli. In che cosa? E in che modo la fotografia può intessere con questi un rapporto, divenendo strumento conoscitivo e di indagine dell’altro, ma anche di te stessa?
Con il tempo sono arrivata alla consapevolezza che i miei soggetti, in primis, sono dei modelli per me: parlando con loro imparo prospettive nuove e diverse; raccontare le loro storie chiaramente mi aiuta a capirli più a fondo. Così facendo conosco meglio anche me stessa. Non tanto la Chiara Negrello del presente, ma soprattutto quella del futuro: capisco i valori che voglio siano parte della mia persona, al di là del mio ruolo di fotografa.
Come è nato il progetto Like The Tide, esposto nella rassegna Effe22? È un progetto sul quale stai continuando a lavorare: come credi si svilupperà e quali sorti lo aspettano e perché, secondo te, sta riscontrando tanto meritato successo?
Like the Tide nasce come progetto per l’ICP. Andando più a fondo, nasce dalla volontà di documentare donne che lavorano in un campo che è considerato essere maschile – come del resto ho sempre visto fare anche a mia madre, nel senso che anche mia madre è una donna che ha sempre lavorato in un ambito tradizionalmente maschile, quindi, secondo me, in parte deriva anche da lì.
Poi, pian piano, a questo aspetto si è affiancato il racconto della quotidianità delle donne nel contesto familiare, che mostra invece l’altro loro lato, ovvero quello più dolce e più amorevole.
Sicuramente mi piacerebbe continuare a documentare le varie generazioni, per vedere quello che resterà invariato è quello che invece cambierà.
Credo che questo lavoro abbia avuto successo perché averlo sviluppato durante l’ICP mi ha dato la possibilità di svolgerlo al meglio, essendo affiancata da grandi professionisti. Trovo inoltre sia una tematica poco affrontata, che, di conseguenza, stimola la curiosità.
Hai detto che tua madre lavora in un campo tradizionalmente maschile: di che cosa si occupa?
Mia madre è a capo di un’azienda di molle agricole. L’ho sempre vista tenere il pugno di ferro al lavoro per farsi rispettare da tutti gli uomini che lavorano intorno a lei.
Spesso parli della tua ricerca e volontà di raccontare ciò che è straordinario nell’ordinario. La nostra rivista nasce dal desiderio di far conoscere il Sublime attraverso l’arte e la cultura, nella convinzione che sia d’aiuto alla crescita individuale dei nostri lettori. Personalmente vedo nei due approcci una forte contiguità. Che cos’è, per Chiara Negrello, il Sublime?
Il Sublime per me è tutto ciò che muove qualcosa di personale legato al nostro vissuto.
Trovo quindi sia estremamente soggettivo: qualcosa che può essere tutto per qualcuno e niente per qualcun altro. È per questo che amo approfondire le mie storie con il filtro della quotidianità: penso questo sia qualcosa in cui tutti si possano rispecchiare.