Un viaggio necessario tra le immagini, che la società non vuole vedere, della fotografa che ha sfidato dogmi. Al prezzo di sputi alla Biennale di Venezia, ci regala una lezione di umanità: non giudicare, ma capire quello che non conosciamo.
Diane Arbus: la famiglia borghese e il lavoro nella moda, fino alla svolta
Alla Biennale di Venezia del 1972, nel padiglione degli Stati Uniti, erano esposte le fotografie di una giovane fotografa, morta suicida un anno prima; quelle immagini, consacrarono la sua entrata nel mondo dell’arte e provocarono negli spettatori dei sentimenti ambivalenti, di sdegno e incontenibile scandalo; tanto che, ogni sera, le immagini dovevano essere ripulite dagli sputi dei visitatori indignati.
Lei è Diane Nemerov, o meglio conosciuta come Diane Arbus, nata a New York, da una ricca famiglia ebrea proprietaria di un gran magazzino sulla Quinta Strada; i suoi genitori, troppo assorbiti dalle attività commerciali, delegano l’educazione della figlia alla governante, e Diane cresce in solitudine insieme al fratello Howard. Studia all’Ethical Culture School e fin da adolescente si rivela brillantemente portata per le arti visive, a quindici anni si innamora di Allan Arbus, che lavora nel magazzino di proprietà della famiglia Nemerov, e all’età di diciotto anni si sposano. Insieme, iniziano a lavorare come fotografi nel settore della moda collaborando con varie riviste, tra cui Glamour, fino a che, Diane si stufa e decide di proseguire la sua ricerca fotografica da sola.
Frequenta workshop e si interessa per gli autori del passato, tra cui Nièpce, Cameron, Brady, Hine e Stieglitz, ma è in particolare l’incontro con Lisette Model, insegnante e fotografa conosciuta per lo stile schietto nel raffigurare le persone, ad influenzare il suo approccio con la fotografia. Diane passa dagli asettici set di moda, a girare per le strade di New York con la sua Mamiya C330 in mano, sfidando l’innata timidezza, in cerca di soggetti particolari da immortalare. Quello a cui il suo occhio fotografico si rivolge non sono i personaggi ricchi dell’alta borghesia di cui faceva parte, ma travestiti, gemelli, nani, persone con problemi mentali.
Tra le tante, c’è una foto che mi è rimasta in mente: è un ritratto intitolato “A Young Man in Curlers at Home on West 20th Street”, nell’immagine, il soggetto ripreso ha i bigodini in testa e la sigaretta in mano, guarda l’obiettivo con lo sguardo spossato e candido, come quello di una Venere. Siamo verso la fine degli anni ’60, in un contesto in cui c’era ancora poca sensibilità per le persone queer; l’immagine non giudica, non c’è nessuno sforzo di cambiare quella persona, o renderla diversa da come è, ma solo un tentativo di capire.
Diane Arbus e la fotografia dei “freak”, per ricordare l’esistenza di tante realtà
Il lavoro fotografico della Arbus non è stato importante unicamente dal punto di vista artistico, ma anche sociale: la sua fotografia documentaria è interamente rivolta all’osservazione del diverso, con lo sguardo curioso di chi, come lei, è cresciuta nella borghesia newyorkese. È interessante il fatto che la sua ricerca, si sia indirizzata verso tutto quello cui la sua educazione, invece, le aveva suggerito di voltare le spalle: gli emarginati, gli ultimi.
Quella rappresentata della Arbus è una diversità dichiarata, soprattutto attraverso una potente apparenza: i suoi soggetti sono spesso persone deformi, oppure nani, personaggi da circo, al limite dello spaventoso, non a caso è stata definita la fotografa dei freak. L’ambivalenza del pubblico, nei confronti delle sue immagini, innescò un acceso dibattito che Susan Sontag, riassunse così nel suo libro On Photography del 1973:
«Diane Arbus faceva fotografie per mostrare qualcosa di semplice: che esiste un altro mondo».
La bellezza e l’importanza dell’unicità
Il concetto di diversità comprende l’accettazione e il rispetto delle differenze altrui, il capire che ogni individuo è unico, riconoscendo le nostre differenze individuali. I metri di misura della diversità spesso sono etnia, genere, orientamento sessuale, stato socio-economico, età, capacità fisiche, credenze religiose, credenze politiche o altre ideologie.
Aprirsi alla diversità, dovrebbe essere qualcosa che accade non nella semplice tolleranza, anche perché tollerare, spesso fa rima con sopportare, ma nell’esplorazione delle nostre differenze, in modo da poter arrivare ad abbracciare e celebrare le ricchezze che ogni individuo ha da offrire.
È estremamente importante proteggere la diversità, perché valorizzando individui e gruppi liberi da pregiudizi, promuovendo un clima in cui l’equità e il rispetto reciproco sono intrinseci, creeremo una comunità orientata alla cooperazione, che trae forza intellettuale e produce soluzioni innovative dalla sinergia delle sue persone.
Se Diane Arbus, ci ha sbattuto in faccia una diversità che non eravamo pronti a vedere, quello dentro le sue immagini è un viaggio necessario,
al quale non dobbiamo voltare le spalle.