Fotografa attiva tra Sydney e Londra, il suo lavoro è stato pubblicato su The Guardian, The Sunday Times Magazine, The Financial Times Magazine, BBC London e BBC World. Alla Biennale presenta un progetto che esplora la perdita di sé dopo il parto, approfondendo la propria identità e la propria discendenza di sangue.
“Questo lavoro, iniziato dopo che ho avuto mio figlio cinque anni fa, esplora la perdita di sé che ho vissuto dopo il parto e cerca di dare un senso alla mia nuova identità.
La serie utilizza mia madre e la famiglia in generale per esplorare la complessità della maternità e il cambiamento delle relazioni familiari, l’appartenenza e l’inevitabilità della perdita”.
Aletheia Casey / Lumina Collective

Come hai capito che la fotocamera è lo strumento di comunicazione tra te ed il mondo che più senti tuo?
Quando fotografo mi sento nel mio stato migliore.
La fotografia mi permette di guardare il mondo con una prospettiva, mi aiuta a capire il mio intero paesaggio emotivo così come l’ancora più vasto panorama del quale fanno parte gli altri.

Sperimenti altre forme d’arte oltre la fotografia? Se sì, c’è una contaminazione e le fondi tra loro in qualche modo?
Sento che non ci sono più regole su cos’è e cosa non è la fotografia.
Dipingo sulle mie immagini, incido su di loro, le graffio, faccio buchi in stampe e negativi, scatto polaroid e poi le manipolo fisicamente e digitalmente…. Non esistono più regole per me su dove finisce la mia fotografia e iniziano altre forme d’arte. Sono la stessa cosa, e amo fondere e sfumare il confine tra i vari linguaggi.

Come gestisci l’equilibrio tra la parte creativa e la parte commerciale per promuovere il tuo lavoro?
Lo trovo molto difficile! Sono una pessima donna d’affari e odio persino preparare le fatture!
Quello che mi interessa è lavorare e insegnare, per questo motivo il lato commerciale della mia fotografia viene ampiamente ignorato, il che lo rende difficile finanziariamente.

Come hai ideato e costruito il progetto “Which way is north”, che presenti alla Biennale di Fotografia Femminile e cosa significa per te?
Il mio progetto “Which way is north?” (“Da che parte é il nord?”) è nato come una reazione intuitiva ai cambiamenti che ho provato dopo essere diventata madre.
Avere un figlio ha suscitato in me emozioni profondamente complesse, incluso un sentimento di amore mai sperimentato prima, accompagnato da un’intensa paura di una perdita insopportabile.
Ho cominciato a mettere in discussione il mio posto nella mia famiglia e nelle mie origini di sangue. Sono australiana, di origini irlandesi.
Ora vivo a Londra ma desidero stare con la gente del mio luogo di nascita, nel vasto e selvaggio paesaggio della mia casa, l’Australia, che è l’unico posto a cui sento di appartenere. La sua terra, e la storia che contiene, è radicata nella mia identità.
Questo lavoro si interroga su cosa significhi appartenere a un luogo e avere una storia familiare sconosciuta.
Usando mia madre come protagonista, queste immagini esplorano le relazioni familiari, le linee di sangue e l’impatto storico dell’emigrazione.

Quali Artisti e Opere che hanno formato il tuo punto di vista (fotografi o non) segnaleresti ai lettori del Sublimista?
Morganna Magee (anche lei parte di Lumina Collective) è stata una grande influenza per me, in particolare il suo recente lavoro in bianco e nero che sarà presto pubblicato in un libro.
Vanessa Winship, come sempre, è stata anche un’influenza per me, sia personalmente che professionalmente.

Siamo convinti che far conoscere il Sublime, attraverso personaggi, opere d’arte ed iniziative culturali, sia d’aiuto per la crescita delle persone e del mondo in cui viviamo. Per questo è nata la nostra Rivista.
Per te cos’è il Sublime?
Il Sublime per me è il mondo della Natura.
Un mondo in cui possiamo trovare gioia, stupore e meraviglia per il mondo straordinario in cui viviamo, pur continuando ad accettare ed essere consapevoli dell’oscurità e delle profondità nascoste che tutti noi conteniamo e portiamo dentro di noi.
