La boxe come metafora di vita: per tirare un colpo vincente, bisogna arretrare. Ma se arretri troppo, non combatti più. L’incontro tra una boxeuse e un allenatore, nel capolavoro da 4 Oscar di Clint Eastwood.
Million Dollar Baby: la trama del film
Margaret “Maggie” Fitzgerald (Hilary Swank) è la determinazione fatta a persona. Tenace e talentuosa, aveva deciso che la sua vita sarebbe stata interamente dedicata alla boxe.
Mossa da questa volontà, incrocia la sua vita solitaria con quella di Frankie Dunn (Clint Eastwood), ex pugile, diventato allenatore e manager, proprietario di una palestra in un quartiere malfamato di Los Angeles.
L’incontro tra i due non avviene per caso, almeno non del tutto.
Lei voleva che lui l’allenasse. Voleva lui.
Lo aveva scelto per diventare qualcuno nel mondo della boxe e non si sarebbe arresa facilmente, nonostante il carattere burbero di quell’uomo a cui la vita aveva riservato troppi colpi bassi.
Ogni singolo giorno si presentava in palestra, ogni singolo giorno lui la ignorava. Maggie non mollava. Mai. Non avrebbe mai accettato un rifiuto.
Non voglio altri allenatori, capo. Io voglio lei.
Sarà l’insistenza di Eddie (Morgan Freeman), ex pugile oggi inserviente, a convincere Frankie ad accettarla come allieva.
Sarà la grinta di Maggie a conquistare quello scorbutico e abitudinario allenatore, a portarne alla luce il lato umano per troppo tempo celato dietro una dura corazza di cinismo.
Maggie sarà una boccata di ossigeno per quell’uomo ferito e tormentato.
Lei diventerà presto il suo Mo Cùishle, “mio tesoro” in gaelico, soprannome che le affibbia e che farà cucire a grandi lettere sulla vestaglia che l’atleta indosserà prima di ogni incontro.
Maggie è grinta, talento, dedizione. Ogni match è una vittoria.
Almeno fino a quel dannato incontro, quando l’avversaria sferra un colpo che la coglie di sorpresa.
Un colpo che cambia il corso delle cose. Un colpo che cambia per sempre la vita Maggie e, con la sua, quella di Frankie.
Dal ring al letto di ospedale. Paralisi totale permanente.
Sopportare questa condizione è per Maggie la sfida più dura, una sfida che non può vincere.
Decide così di abbandonare la competizione.
Frankie è accanto a lei, ancora una volta.
Maggie vs Frankie: cosa c’è di sublime nelle loro vite?
Quando Maggie, poco più che trentenne, incontra Frankie, è una donna mossa dalla sete di riscatto.
Sa ciò che vuole e sa che, per ottenerlo, deve faticare (il doppio).
Deve faticare perché, sola, può contare unicamente sulle proprie forze.
Deve faticare perché donna in un ambiente maschilista.
Deve faticare perché non può permettersi di gettare la spugna, buttando così al vento i sogni e le speranze a cui quotidianamente si aggrappa.
Maggie sceglie di lottare perché l’obiettivo di un vita realizzata e felice è troppo importante e sa che quell’allenatore è la persona giusta a cui affidarsi per raggiungere la meta.
Frankie, al contrario, è un uomo che ha smesso di combattere, sul ring e nella vita.
Solitario e scostante, trascorre le giornate tra la palestra, le mattine passate in chiesa, spinto da una religiosità fortemente privata, e l’amara consapevolezza che la figlia, con la quale ha perso i contatti da tempo, non sarebbe tornata tra le sue braccia.
Due persone che affrontano la vita in modo diametralmente opposto: l’una reagisce, l’altro si adagia, l’una lotta, l’altro attutisce i colpi.
Apparentemente non c’è nulla di sublime nelle loro esistenze, ed è così.
È così se si considerano separatamente, come due vite parallele.
Due vite parallele destinate a incontrarsi
Al destino piace giocare e quando lo fa, di sicuro, non prende in considerazione la nostra volontà.
Se è destino che le cose accadano, accadono.
Magari all’inizio è difficile dare un senso agli incontri e agli eventi che ci colgono di sorpresa, a cui non siamo preparati, e che ci fanno sentire un po’ spaesati.
Difficile è anche vivere quel cambiamento, a volte radicale, che il destino porta con sé, perché spesso è talmente travolgente da sfuggire al nostro controllo.
É quando tutto si fa nitido, quando tutto assume un significato, quando finalmente si giunge alla consapevolezza del perché quel qualcosa è accaduto che ogni domanda trova la sua risposta.
Se le vite di Maggie e Frankie, prese singolarmente, non hanno nulla di sublime, Sublime è il loro incontro, voluto dal destino, che per entrambi equivale alla salvezza.
Maggie trova in Frankie la persona a cui affidare i propri sogni, le proprie speranze e le proprie paure. Trova in quell’allenatore, che è al contempo un po’ padre, quel qualcuno a cui tendere la mano e aggrapparsi per trovare il proprio posto nel mondo.
Lui educa la sua grinta, le insegna a controllare le emozioni, la incita a credere nel suo potenziale.
Per lei tutto questo è una conferma, la conferma che vale come atleta, come donna, come persona.
Frankie, almeno all’inizio, non ha minimamente idea di quanto quella giovane donna sarebbe diventata importante per lui, né di quanto quell’incontro fortuito avrebbe migliorato la sua intera esistenza.
Il sodalizio sportivo è infatti solo un tassello di un legame più profondo, quasi viscerale, che spinge Frankie a riprendere in mano la propria vita, a rendersi e sentirsi utile, dando anima e cuore per la persona che lo aveva preso per mano e guidato in un percorso di rinascita.
Frankie amava ripetere che la boxe era qualcosa di innaturale,
che nella boxe si fa tutto al contrario.
A volte, per tirare un colpo vincente, bisogna arretrare.
Ma se arretri troppo, non combatti più.
Il film ruota intorno alla costruzione, lenta e timorosa, di un legame, pur nella consapevolezza della transitorietà dell’esistenza, pur nella consapevolezza che legarsi a qualcuno può portare tanta gioia quanto dolore.
Non abbassiamo mai la guardia perché temiamo di essere feriti e di rimanere delusi, ma, per quanto possa essere rischioso fidarsi dell’altro, vale davvero la pena salire da soli sul ring?