Anticonvenzionale, autentico, apparentemente antieducativo, il film premio Oscar di Vinterberg è invece, come spesso accade, più potente del “politicamente corretto”. L’alcool come strumento per raggiungere un fine: ritrovare se stessi. Un inno alla vita che mischia le carte finzione-realtà al suo autore durante le riprese.
“La stanza che apriamo quando portiamo la bottiglia alle nostre labbra è interessante. La stanza dell’incontrollato è quella in cui le persone si innamorano, vengono ispirate, da dove arrivano le idee. Ma è anche la stanza in cui le cose che non sarebbero dovute succedere all’improvviso accadono”. Thomas Vinterberg
Iniziamo dalla fine. Questo è “Un altro giro”. Il ballo finale.
Questa è la scena finale di Druk-Un altro giro, il film complesso, divertente, ironico, drammatico e commovente del regista danese Thomas Vinterberg.
Stupendo.
E la scena finale lo è ancora di più.
Oggi entriamo nella vita di Martin, interpretato da quel gran figo (lo so, non è molto sublime dirlo così ma non ho altre parole per descriverlo) di Mads Mikkelsen. È un professore di liceo e sta partecipando ai festeggiamenti di fine anno delle ultime classi. In questa scena danza. È una danza piena di vita, di armonia e di voglia di rinascere. C’è solo una breve pausa, solo un attimo per guardare il mare, per ricordare quello che è stato e per afferrare il futuro.
Un futuro che riparte proprio dall’acqua.
Un tuffo e via le sofferenze. Si riparte da qui.
“Un altro giro”: come trasformare la propria vita
Sì, perché Martin, all’inizio di questo film, aveva bisogno di una svegliata, di tirarsi insieme. Aveva bisogno di rinascere ma ancora non lo sapeva.
È un professore di liceo, ha una moglie bellissima e due figli amorevoli.
Il problema è che è morto dentro. La famosa crisi di mezza età vissuta un po’ al contrario.
Da uomo brillante, entusiasta e coinvolgente che era, è diventato scialbo, mesto e triste.
La moglie lo evita. I figli non lo ascoltano. I suoi studenti lo disprezzano. Quella di Martin è letteralmente una vita insignificante.
E così, insieme a Tommy, Nicolaj e Peter, colleghi e amici problematici, infelici e sfigati anche loro, decide di dare nuovo brio alle loro esistenze.
L’assunto di base è che siamo nati sbagliati, perché insieme all’acqua, al sangue e tutta la materia che costituisce il nostro organismo, avremmo dovuto avere anche una piccola percentuale di alcol per essere più felici, per aprire le menti, per avere una maggiore sensibilità, attenzione e propensione alla creatività. Questa è la teoria dello psichiatra norvegese Finn Skarderud e questo è quello che dà il via alle danze.
“Un altro giro”, per favore
I quattro amici decidono di bere quella quantità di alcol necessaria a raggiungere il limite di 0,5 ogni giorno, durante l’orario di lavoro. Assolutamente vietato bere dopo o nei weekend.
È uno studio certosino, con tanto di riunioni interne e di stesura di saggio.
I risultati? Immediati. Tutti li adorano.
Martin riesce a riconquistare i suoi studenti, i suoi figli e addirittura sua moglie. Del resto, se Churchill è riuscito a vincere una guerra con un po’ di alcol, perché lui non avrebbe potuto farcela?
E così decidono di alzare la posta in gioco. Sì a una sana sbronza anche nei weekend.
Anche in questo caso i risultati non sono male. L’importante è non esagerare.
Un altro giro allora.
“Un altro giro”. Spiegazione del finale: non un inno all’alcol, ma alla vita
Potrebbe sembrare che quello che qui ci sta presentando Vinterberg sia un film scontato su un vizio, uno dei tanti che affligge l’umanità. Ma in realtà non è così, e soprattutto non lo è dopo due anni in cui questa umanità ha vissuto rinchiusa tra le mura domestiche, dimenticando cosa sia la socialità, l’incontro, lo scontro, la comunione d’intenti.
L’alcol qui non è vizio, non è un gioco e non è uno sfizio. Potrebbe sembrare una necessità e un po’ lo è, ma è uno strumento per raggiungere un fine, quello di ritrovare se stessi. Il problema si presenta quando, di noi stessi, resta solo l’ombra ancora prima del sopraggiungere di un bicchiere di troppo perché quel bicchiere non è la causa della fine, è il mezzo che, più o meno consapevolmente, ci permette di raggiungere le nostre necessità.
“Un altro giro” è un viaggio. Come quello di Aristofane, Hemingway, Baudelaire, Bukowski, i Fitzgerald e tanti altri
Un viaggio che inizia nel momento in cui decidiamo di dire basta a quello che siamo stati e di fare un upgrade. Aristofane, il commediografo greco, affermava che bevendo gli uomini migliorano. Probabilmente è vero, ma solo perché riescono a esprimere la loro più vera e reale natura, liberandosi dalle catene. Lo avevano capito anche gli antichi romani, che ne erano diventati esperti. E nel corso degli anni, dei secoli, chiunque voi possiate ritenere essere stato un genio, ne ha fatto un considerevole consumo.
Baudelaire diceva:
Ubriacatevi in continuazione, di vino, di poesia, di virtù, come volete.
Sottinteso è: come volete ma fatelo. Hemingway ha scoperto i piaceri del buon bere, ovviamente accompagnato da belle donne, proprio in Italia, durante la guerra e da qual momento non ha più smesso. E come lui potremmo citare Bukowski, i Fitzgerald e tanti altri. Il fatto è che tutti avevano un viaggio da compiere. Un viaggio da fare nella propria intimità.
Hemingway era estremamente lucido nella stesura dei suoi testi. Ha parlato con i suoi demoni tutta la vita e la sua storia etilica è la storia dei suoi tormenti, delle sue sofferenze, dei suoi incontri, delle sue delusioni e infine della sua crescita che, probabilmente, non ci sarebbe mai stata senza l’esperienza di quel primo goccio di alcol. E ovviamente, non è il solo perché, per molti versi, la sua storia è affine a quella di Charles Bukowski che scriveva:
Va così. Rum e pera, perché ci sono dei momenti forti che ti lasciano l’amaro in bocca, e altri talmente belli da farti dimenticare quel retrogusto sgradevole che ha la vita.
Bisogna solo riuscire a trovare il gusto giusto.
Il retrogusto amaro di “Un altro giro”. Spiegazione del finale.
Ed eccoci tornati all’inizio. Quello vero.
Come avete visto, non vi ho raccontato tutto, non vi ho fatto spoiler e, questa volta, lascio a voi comprendere la vera verità.
Un altro giro è un film potente, esilarante e terribilmente malinconico. Non solo per la storia che racconta, ma anche per com’è nato questo film da Oscar.
Vinterberg, un po’ come per tutti i suoi film, di questo film ne ha parlato con i suoi amici prima di girarlo. L’idea aveva spiazzato tutti, tutti tranne sua figlia, Ida.
Una ragazza sveglia e senza peli sulla lingua, che avrebbe voluto accompagnare il padre in questa esperienza non solo davanti la telecamera, ma anche dietro, spalla a spalla con il maestro. Ida però, non ha avuto l’opportunità di farlo. È morta a pochi giorni dall’inizio delle riprese in un tragico incidente stradale.
Volevamo fare un film che celebrasse la vita.
Ha detto commosso il padre nel discorso di premiazione degli Oscar.
Lo ha amato fin dal primo istante, ecco perché quando è venuta a mancare è diventata la ragione per alzarmi ogni mattina: dovevo realizzare il film, terminandolo, rendendole onore.
Ecco cos’è “Un altro giro”: un inno alla vita
Ed ecco la rinascita, quella necessaria, quella che abbiamo visto vivere con la spettacolare danza di Mads Mikkelsen. Una rinascita che aiuta a superare un dolore così forte da annientarti. Una rinascita dopo una morte che ti fa apprezzare ancora di più l’essenza della vita, in tutte le sue forme, celebrando la fine come un nuovo, incantevole inizio.
A Ida
Nunc est bibendum. Sulla fuga, l'introspezione e la leggerezza | Il Sublimista
[…] attraverso una narice e l’alcol non è altro che un mezzo per diluire l’effetto, in Druk di Thomas Vinterberg, la gradazione alcolica è il leitmotiv che accompagna lo scandire dei giorni.La fuga dai dogmi e […]
Alessandro Andreoli
Non ho visto il film, ma ho amato molto il sospetto. Complimenti per la bella recensione, mi stimola a trovare il modo di vederlo.
Manuela Masciadri
Grazie mille Alessandro! Ti segnaliamo che lo puoi trovare su Prime Video.
Giannolorossastro
Bucchin a mammt?
Manuela Masciadri
Ti auguriamo di trovare la tua ispirazione affinché la vita sia interessante e piena di significato.
Lella
Ottima recensione di un film intenso e straziante. Non sapevo della tragedia che ha colpito il regista, lo rende ancora più potente e commovente.
Manuela Masciadri
Troviamo che vita e arte che si mescolano creino sempre tanta empatia, Grazie a te Lella.