Fotografa internazionale pluripremiata, ha pubblicato su The New York Times e The Guardian. Il suo progetto “Extraordinary Experiences” nasce dalla sensazione di vedere qualcosa e di non sapere se è reale, anche se familiare; come quando si perde qualcuno, e si è convinti di incontrarlo in un estraneo. Tramite un “intervento magico”, Morganna lo racconta in una serie fotografica cruda e onirica.
“Le persone che hanno perso qualcuno da poco hanno un certo sguardo, riconoscibile forse solo da chi ha visto quello sguardo sul proprio volto. Io l’ho notato sul mio viso e ora lo noto sugli altri. Lo sguardo è di estrema vulnerabilità, nudità, apertura”.
Joan Didione. The Year of Magical Thinking. New York: Vintage International, 2007.
Morganna Magee / Lumina Collective
Come hai capito che la fotocamera è lo strumento di comunicazione tra te ed il mondo che più senti tuo?
La fotocamera ha la capacità di fermare il tempo, cosa importante per un’artista profondamente sentimentale come me. Una fotografia consente il dialogo e la contemplazione che non si vedono nella vita quotidiana moderna.
Sperimenti altre forme d’arte oltre la fotografia? Se sì, c’è una contaminazione e le fondi tra loro in qualche modo?
No, mi sono innamorata del collezionismo di fotografie da bambina e, una volta che sono stata in grado di scattare foto da sola, tutto il mio tempo è stato assorbito dalla mia pratica.
Come gestisci l’equilibrio tra la parte creativa e la parte commerciale per promuovere il tuo lavoro?
Sono grata di lavorare sia come fotografa sia come docente di fotografia. Il lavoro creativo influenza quello commerciale e viceversa.
Come hai ideato e costruito il progetto “Extraordinary Experiences”, che presenti alla Biennale di Fotografia Femminile e cosa significa per te?
Gli echi sono arrivati a Lumina dopo il nostro primissimo incontro, durante il quale abbiamo discusso di famiglia, dolore ed eredità.
Ci siamo rese conto che, come 8 artiste, il nostro lavoro fotografico era diverso, i punti in comune nelle nostre vite e ciò che volevamo condividere erano sincronizzati.
Il mio lavoro, “Esperienze straordinarie” è cresciuto dopo una conversazione con una cara amica, la cui prima esperienza con la morte è stata molto traumatica.
La società australiana non accoglie mai davvero le conversazioni sul dolore, quindi volevo parlarle di alcuni degli effetti fisici che ho provato a causa del dolore dopo la morte di mio padre, quando avevo 25 anni.
Abbastanza spesso, entro pochi mesi dalla morte di qualcuno, tu lo vedi non come un fantasma: il tuo cervello ti dice concretamente che si trova in piedi, di fronte a te.
Quando è successo a me, è stato come se mio padre fosse stato proiettato su un altro uomo che ho visto di sfuggita. Mi ha scosso fino al midollo.
Questo lavoro nasce da quella sensazione di vedere qualcosa e di non sapere se è reale, anche se familiare.
Ho scattato principalmente con il grande formato dal 2019 e quando è arrivata la pandemia ho iniziato a sviluppare io stessa i miei rullini per necessità.
Ho iniziato a vedere stranezze, incidenti e interventi che sarebbero apparsi nelle immagini finali, a volte dal momento dello scatto, a volte dall’elaborazione e spesso dalla digitalizzazione del negativo.
Adoro l’idea che l’immagine finale sembri racchiudere più di ciò che si trovava davanti alla fotocamera: sembra un intervento magico.
Quali Artisti e Opere che hanno formato il tuo punto di vista (fotografi o non) segnaleresti ai lettori del Sublimista?
La foto-artista americana Sara Silks è un’ispirazione per me in questo momento. Lavora con processi alternativi per creare immagini alchemiche della natura.
Siamo convinti che far conoscere il Sublime, attraverso personaggi, opere d’arte ed iniziative culturali, sia d’aiuto per la crescita delle persone e del mondo in cui viviamo. Per questo è nata la nostra Rivista.
Per te cos’è il Sublime?
Il Sublime per me è attingere alla natura, ascoltare il ronzio del mondo invisibile e connettersi con i luoghi.