Storia dell’entusiasmo e della magia di un “figlio delle maree” che il popolo del Surf celebra come eroe epico. Al grido di “Live like Jay”, esorta chiunque ne mantenga la memoria a vivere secondo le proprie passioni e ad amare senza limiti.
Esistono creature che, sebbene nate tra noi, sulla terra, non appartengono a questo mondo.
Alcune di loro pertengono all’aria e alle immensità delle spazio, altre ancora ardono in un turbinio di fiamme, altre invece sgorgano dalle grandi sorgenti d’acqua. Le creature elementali nascono in un altro mondo e ad esso tendono, allontanandosi dalla terra, a volte per non farvi più ritorno: lasciano sulle nostre sponde una traccia, un’orma dalla spiaggia verso il mare che ci ricorda che sono prestati al nostro habitat, che sono un dono provvisorio fattoci dalle forze della natura, dono che andrà presto o tardi restituito.
La storia vera di Jay Moriarity
Jay Moriarity era un figlio delle correnti, un componente dell’infinita progenie di Poseidone ed Anfitrite. Ufficialmente nato ad Augusta, in Georgia, e trasferito ancora infante dalla famiglia a Santa Cruz, California, a nove anni fa ritorno nel suo vero elemento1, scegliendo una tavola da surf come mezzo di locomozione: com’è naturale per chi appartiene all’oceano, fa sue le onde, fa sua la tavola, non lo si toglie più dall’acqua.
Come per tutte le creature che sono di un altro mondo, per Jay la linea di demarcazione tra terra e acqua, tra leggi fisiche e irrealtà, tra umano e sovrannaturale si fa labile, sfumata: dove finisce la capacità umana? Fin dove può spingersi per far parte del suo reale elemento? Jay vive con l’urgenza di vivere tutto, con la consapevolezza di non trovarsi nel nostro mondo a lungo e di doverlo vivere con riconoscenza, con entusiasmo, a volte con spericolatezza, alla ricerca del punto di non ritorno, o in questo caso del point break.
Jay Moriarity e la ricerca delle leggendarie onde Mavericks
Gli eroi del mito hanno bisogno di un mostro contro cui battersi: per Jay quel mostro sono le Mavericks, leggendarie onde pressoché sconosciute all’inizio degli anni ’90, azzardo riservato ad un ristretto gruppo di esperti surfisti. I mostri ondosi nascono solitamente a grandi profondità e molto al largo, per poi infrangersi portentosamente dove il fondale nei pressi della riva ha peculiari caratteristiche: nel caso del mostro Mavericks, l’onda nasce dalle tempeste del Pacifico e corre, cavalca caricandosi di energia, accumulando forza miglia dopo miglia fino al nord della California, per prendere poi una violenta rincorsa al suo arrivo ad Half Moon Bay, su un fondale che è di fatto una lunga rampa di lancio prodotta dalle viscere tonitruanti della faglia di Sant’Andrea, in cui il mostro viene bloccato ai piedi e letteralmente inciampa, e mentre inciampa si aggrappa alle acque calme intorno alla rampa, aumentando ulteriormente di dimensioni. Ne risulta una bestia alta tra gli otto e i diciotto metri il cui urto può talvolta essere registrato a terra dai sismometri2,3.
Jay Moriarity: un eroe epico
A tredici anni Jay conosce il suo mentore, quello che lo aiuterà ad affrontare la belva. Con Rick “Frosty” Hesson, un big-wave surfer di lunga data, Jay affronta un allenamento che durerà tre anni, un allenamento volto non solo a temprare fisicamente il ragazzo (decine di miglia di remate sul surf in mare aperto e prove di resistenza subacquea in acque dalla temperatura che oscilla tra i 7° e i 17° a seconda del periodo dell’anno4), ma anche mentalmente, tramite la redazione di svariati saggi e analisi matematiche e geometriche del moto ondoso1,5.
Curiosamente, il momento che lo consacrerà alla fama nel mondo del surf non è la prima onda che Jay riesce a cavalcare alle Mavericks, ma un clamoroso wipeout avvenuto il 19 dicembre 1994: sparsasi in quell’anno la voce della “scoperta” di uno spot così affascinante, numerosi appassionati, big-wave surfers da tutto il mondo e giornalisti si affollano ad Half Moon Bay per assistere alla cavalcata dei giganti. Un fotografo, Bob Barbour, al largo della costa insieme ad altri fotogiornalisti, cattura l’istante che renderà celebre Jay. La serie di foto, chiamata “Iron Cross”, immortala il ragazzo nel momento in cui perde il controllo della tavola, travolto da un’onda di circa sette metri e mezzo.
Il pericolo di essere sopraffatti da una tale massa non è solo l’evidente minaccia di circa 310 tonnellate d’acqua che piombano sulla testa del malcapitato surfista6, costretto a un tuffo da una piattaforma in movimento alta quasi dieci metri e poi potenzialmente sbattuto su un fondale che può essere più o meno roccioso e superficiale, ma piuttosto la possibilità di essere travolti da una cosiddetta “centrifuga”: l’onda, che crea un vortice subacqueo mano a mano che avanza, non è sola, ma seguita da un set di altre onde; se il surfista non riesce ad emergere dopo il wipeout, prendendo aria prima di essere investito dalle onde successive – tutte di paragonabili dimensioni – rischia di non emergere più.
Quando Moriarity riemerge dal valzer di onde che avrebbero potuto ucciderlo, sorride come se avesse finito un giro alle giostre. Recupera la tavola e prende un’onda perfetta, che lo riporta fino a riva.
Jay Moriarity e la preghiera dei soul surfer alla Natura
L’entusiasmo e la gioia contagiosa di Jay, ricordata da tutti quelli che lo hanno conosciuto e amato, sono ciò che lo ha reso un vero e proprio soul surfer: nonostante le offerte di sponsorizzazione ricevute e la fama trovata grazie a quell’onda presa a sedici anni, Moriarity non surfa per mestiere o sport, ma per amore, per fede, per religione. I soul surfers, surfisti dell’anima, hanno un rapporto simbolico e simbiotico con il mare, loro vero elemento, in una perenne sfida a se stessi e ai propri limiti ma mai sfida alla natura, temuta e rispettata come una divinità pagana e intorno alla quale si organizzano rituali di condivisione e festività, una disciplina-preghiera, che si pratica da soli ma anche insieme a tutta una nazione del surf che ha ovunque le stesse regole e che si basa su una vera e propria tradizione orale.
Ma a volte, come ci ricordano le ultime parole del bel film a lui dedicato, quando certe persone si spingono oltre i limiti, a volte dai limiti stessi vengono respinte, e il 15 giugno 2001 Jay viene reclamato dal suo elemento. Muore a 22 anni, il giorno prima del suo compleanno, durante una sessione di free diving alle Maldive, probabilmente per una sincope da apnea prolungata7.
Per lui viene organizzato un funerale in mare cui partecipano la moglie, fidanzata dai tempi del liceo e sposata appena un anno prima, il suo mentore Frosty e tutta la famiglia, di sangue e di acqua, e tutta quella nazione del surf che ha preso Jay come esempio di eroe epico, e che al grido di “Live like Jay” esorta chiunque ne mantenga la memoria a vivere secondo le proprie passioni, ad amare senza limiti e a riconoscere con gioia il delicato dono della vita.
1 The Compelling Surf Life Story of Jay Moriarity, in «Surfer Today», https://www.surfertoday.com/surfing/the-compelling-surf-life-story-of-jay-moriarity
2 P. Mckenna, Map reveals secret of awesome Mavericks waves, in «New Scientist», 19/04/2007, https://www.newscientist.com/article/dn11667-map-reveals-secret-of-awesome-Mavericks-waves/
3 National Oceanic & Atmospheric Administration – National Marine Sanctuaries, California sea floor survey sheds new light on big waves, https://sanctuaries.noaa.gov/news/press/2007/pr041607_items.html
4 Surf Forecast, Half Moon Bay Water Temperature and Wetsuit Guide (Washington State, USA), https://it.surf-forecast.com/breaks/Half-Moon-Bay/seatemp
5 D. Frederick, Surfers: Jay Moriarity, in «Surfing Anthropology», https://surfinganthropology.wordpress.com/2014/04/29/surfers-jay-moriarity/
6 The Weight of a Wave, in «Surfer Today», https://www.surfertoday.com/surfing/the-weight-of-a-wave
7 W. Baine, On the 10th anniversary of the death of iconic surfer Jay Moriarity, his widow reflects on his legacy, in «Mercury News», 15/06/2011 https://www.mercurynews.com/2011/06/15/on-the-10th-anniversary-of-the-death-of-iconic-surfer-jay-moriarity-his-widow-reflects-on-his-legacy/